di Rino Genovese
No, le “primarie” – per giunta organizzate con i piedi, senza regole certe – non sono la democrazia:  della democrazia, piuttosto, lasciano respirare l’aroma, come quando annusiamo qualcosa che subito ci viene tolto (il che accade con il desiderio consumista, per esempio, alimentato ad arte e immediatamente deluso dalla stessa immane distesa delle merci estetizzate). Le “primarie”, soprattutto in Italia, sono interne a quel “direttismo” plebiscitario che è il contrario della democrazia diretta, e anche una ricetta inefficace per uscire dalla crisi di una democrazia rappresentativa che noi pensiamo si debba riqualificare e non distruggere. Le “primarie” servono a incoronare un leader, non a scegliere un rappresentante. Contribuiscono perciò alla obsolescenza dei partiti politici sostituendo alla loro macchina burocratizzata qualcosa di molto peggiore, l’unto dal voto popolare – anche quando a esprimere questa unzione sono più o meno quattro gatti sulla base del rozzo criterio mi piace / non mi piace. Chi partecipa alle “primarie” deve sapere che sta portando il suo piccolo colpo di martello alla demolizione della democrazia parlamentare e dei partiti politici. Conseguenza delle “primarie” non è soltanto che un piccolo gruppo di giovani affaristi si sia impadronito dell’ultimo partito organizzato sul territorio esistente in Italia; più grave è che quel gruppo, asceso grazie alle “primarie”, intenda modificare l’intero assetto repubblicano secondo quel modello. Che altro è lo spareggio sportivo del ballottaggio per la scelta del “premier” (in Italia, veramente, si chiama presidente del Consiglio dei ministri) se non lo stesso “direttismo” plebiscitario applicato su larga scala?
Il Pd, a causa del suo mito fondatore consistente nelle “primarie”, è il partito che condannò se stesso. Quelli dell’attuale minoranza, che già  fu maggioranza, dovrebbero recitare il “mea culpa” perché sono loro (un ceto politico, tra l’altro, in una certa misura screditato) ad avere prodotto il mostriciattolo chiamato Pd. Da apprendisti stregoni il giocattolo è sfuggito loro di mano. Pensavano di avere posto un’ipoteca a vita sulla loro creatura, ma, con lo stesso semplice meccanismo cui avevano dato vita, se la sono vista sfilare di mano.
In sostanza si trattò di un berlusconismo passato da destra a sinistra, dalla radice plebiscitaria originaria alla sua transustanziazione “democratica”. Il Pd non sarebbe mai dovuto nascere: non soltanto perché fu una “fusione a freddo” tra storie politiche differenti che potevano trovare certo un punto d’intesa politica, e tuttavia non essere cancellate – ma perché fin dall’inizio, come direbbero gli psicoanalisti, fu una “formazione reattiva”, per questo un’imitazione, nei confronti dell’agenda berlusconiana. È nelle cose, quindi, che con la demagogia dell’abolizione della tassa sulla prima casa, che viola il principio della progressività dell’imposizione fiscale, Renzi riprenda oggi proprio quel programma.
Il Pd può soltanto essere archiviato come un errore, non si può pensare che ritornino i suoi vecchi dirigenti: perché sono loro che hanno aperto la strada alla deriva attuale.