Numero 5-6 maggio-giugno 2015
Quarantacinque anni fa, nel febbraio 1970, usciva il primo fascicolo di «Qualegiustizia», rivista radicalmente nuova nel panorama giuridico, destinata a essere, per tutto il decennio successivo, strumento fondamentale e punto di riferimento per un modo diverso di rendere giustizia. Fu subito chiaro che si trattava di una rivista eretica, una rivista contro, seppur in una prospettiva di costruzione di un modello alternativo. Contro una collocazione e un ruolo della giurisdizione pesantemente influenzati da un formalismo acritico, da un diffuso conformismo filogovernativo e da una forte volontà di conservazione politica (nonostante il vento del Sessantotto e le lotte operaie del ’69). In quasi mezzo secolo si sono sovrapposte e sostituite generazioni di magistrati.
La situazione politica, sociale, culturale del paese è, come ovvio, profondamente mutata. Ed è cambiata la collocazione dei giudici e della giurisdizione nel sistema politico. Da qui la domanda: ha senso, oggi, riproporre l’interrogativo su quale giustizia o si tratta di un amarcord inutile e un po’ patetico? Come sempre, la risposta dipende dal modo in cui si affronta la questione. È certamente inutile e fuori tempo riproporre modelli legati a un’epoca che (nel bene e nel male) non c’è piú; è, con pari certezza, utile – anzi necessario – riflettere sui valori e i principi sottostati a quei modelli, spesso frettolosamente accantonati da un pensiero dominante che vorrebbe diventare unico.
Scritti di Vincenzo Accattatis, Marcello Bortolato, Angelo Caputo, Renato Greco, Andrea Natale, Silvia Niccolai, Giovanni Palombarini, Livio Pepino, Carla Ponterio, Rita Sanlorenzo, Giancarlo Scarpari, Anna Terzi, Alberto Vannucci, Fabrizio Vanorio, Enrico Zucca