In Francia, l’arroganza e lo sfregio della democrazia messa in atto da Emmanuel Macron, in nome e per conto del capitale transnazionale, mette la parola fine alla farsa delle democrazie liberali che l’hanno fatta da padrone assoluto nell’ultimo trentacinquennio in tutti gli Stati occidentali e particolarmente, questa è la novità, nell’Europa comunitaria prima e dopo il trattato di Maastricht del febbraio 1992. In Francia Macron, dopo anni di continue contestazioni popolari, represse con un massiccio dispiegamento di polizia e forze speciali, è arrivato a negare il risultato del voto popolare delle legislative che ha visto il Nuovo Fronte Popolare conquistare la maggioranza relativa nell’Assemblea Nazionale, rifiutandosi di nominare come capo del governo la candidata indipendente designata dal vincitore. La conseguenza di tale comportamento ostruzionistico fa entrare il paese in una zona grigia-nera di cui non si intravede con chiarezza l’esito. Quel che appare certo è che a breve se ne avvantaggerà la finta alternativa fascistoide, costituita dal Nuovo Fronte Nazionale guidato da Marine Le Pen.

Questa rottura dei fragilissimi equilibri democratici residui della liberal-democrazia deve suscitare grandissima preoccupazione, soprattutto in un momento in cui le stesse forze (finanza e suoi strumenti istituzionali “pubblici” e privati, industria degli armamenti, grandi multinazionali della nuova economia e delle piattaforme) che attraverso il presidente della V repubblica negano il risultato del libero voto popolare hanno scatenato la guerra alla Russia e alla Cina. Melénchon e il Nuovo Fronte Popolare devono rimanere uniti e reggere il duro scontro in atto, come pare garbatamente dire la loro candidata al governo del paese.

La lunga e variegata fase di sospensione e/o riduzione della democrazia, politica e sociale, in atto da oltre trenta anni in Europa, con caratteristiche diverse da paese a paese, pare proprio che stia volgendo verso la fine e non è affatto detto che a breve la situazione migliori. Anzi, la guerra in Ucraina e il genocidio dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania hanno disvelato anche ai ciechi le metastasi finali del neoliberismo a guida statunitense, con immediati effetti devastanti in Europa, nella Ue da sempre a guida tedesca e nella stessa Germania, afflitta da una recessione economica importante in cui la distruzione del gasdotto NorthStream ne è la più evidente dimostrazione.

Nei due Stati dell’ex Germania dell’est, circa un tedesco su tre che si è recato alle urne ha votato per Alternative für Deutschland ( AfD). Se in Sassonia il 30,7% non è bastato per superare la destra moderata della Cdu, in Turingia la vittoria dell’estrema destra è stata schiacciante. Qui, con il 32,8%, l’AfD ha staccato di quasi dieci punti percentuali la Cdu, fermatasi al 23,6%, l’unica formazione politica “tradizionale” che ha tenuto botta in uno scenario politico sempre più polarizzato. Il secondo miglior risultato lo ha ottenuto il movimento-partito di sinistra socialcomunista, la Bündnis Sahra Wagenknecht ( BSW), ribattezzato dai media liberal-capitalisti con l’elmetto, ora “sovranista”, ora “ rossobruno”, ora “putiniano”. Questo è il nuovo partito fondato neppure un anno fa dalla ex leader della Linke e dalla componente socialcomunista di tale partito, che ottiene l’11,8% in Sassonia e il 15,8% in Turingia dove gli altri partiti hanno ottenuto rispettivamente il 13,1% la Linke, il 6,1%, la Spd, il 3,2% i Verdi e i liberali ( Fdp) solo l’1,1%.

In Sassonia la Cdu ottiene una vittoria sul filo di lana su AfD, ma pur sempre una vittoria. Il partito di Sahra Wagneknecht ha esordito con l’11,8% mentre l’Spd ha ottenuto il 7,3% (nel 2019 ottenne il 7,7%). La Linke è finita fuori dal parlamentino con un 4,5% (era al 10,4 nel 2019). I Verdi sono salvi con il 5,1% (ma con una netta perdita: erano all’8,6%), mentre i liberali sono appena misurabili con lo 0,9% (avevano il 4,5%). Una vera batosta per i partiti del governo Scholz. In Turingia i Verdi e i Liberali non superano quindi la soglia di sbarramento del 5%. Esito «particolarmente amaro», ha dichiarato il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Il risultato elettorale dimostra la crescente distanza accumulatasi negli anni tra le classi popolari e le classi dirigenti tecno-liberali che governano gli Stati europei. In queste elezioni le classi popolari anziché rifugiarsi nel non voto (ha votato più del 73% degli aventi diritto) come in Italia hanno preferito concentrare circa il 50% del proprio voto su formazioni politiche radicali che, seppur profondamente diverse tra loro, hanno in comune l’essere al di fuori del circuito liberale del governo nazionale e dalla politica bellicista Nato-Ue, che, oltretutto, sta devastando l’economia della Germania, e in particolare i suoi Stati dell’est, agricoli e meno sviluppati, che beneficiavano delle relazioni commerciali con la Russia. È probabile che la destra estrema non governerà, perché nessuno è disposto ad allearsi con lei, ma ha certamente segnato una vittoria più che simbolica.

Il sistema economico-politico-mediatico di fedeltà atlantica aveva da tempo bollato il partito di sinistra della Wagneknecht con gli abituali epiteti denigratori di “rossobruno”, “sovranista”, “putiniano”, e quindi, di fronte ai primi risultati delle elezioni, ha subito puntualizzato, a suo dire, che vi sarebbero non pochi punti di contatto con l’Afd, per esempio sul North Stream, l’opposizione alle politiche antisociali dell’Ue, l’immigrazione, la Nato, il filo-putinismo, cercando, stupidamente, di delegittimare politiche alternative al liberal-capitalismo che i fatti non rendono più delegittimabili.

Al di là di come si formeranno le coalizioni, il dato politico è comunque molto forte, non archiviabile facilmente con la solita liturgia tecnocratica liberale proseguendo con le medesime politiche. Questo, numeri alla mano, non appare più possibile. In teoria, forzando molto, in Sassonia si potrà proseguire come ora: Cdu, Spd e Verdi. Molto complicata, se non impossibile, la Turingia, dove l’unica ipotesi di governo è che la Cdu si allei o con Afd o con Spd e Wagneknecht. Quest’ultima si è detta pronta a negoziare con i moderati della Cdu ma mai con l’Afd, partito etno-nazionalista, lontano dalla BSW.

Friedrich Merz, il leader della Cdu, è l’altro vero vincitore a Berlino. A Est non si può fare nulla senza i cristiano-democratici. Un segnale forte per le elezioni nazionali dell’autunno dell’anno prossimo, dove al momento soltanto le destre, estrema e moderata, sembrano potersi contendere la vittoria.

La sinistra liberale perde ovunque in Europa. Solo la nuova sinistra popolare e di classe potrà contenere l’avanzata delle destre, in Germania come in Francia. In Italia gli stessi problemi politici, economici e sociali sono stati affrontati molto più ipocritamente servendosi di un presidenzialismo de facto che, in ossequio ai diktat del capitale finanziario occidentale, ha svolto il ruolo di regista di una lunga serie di governi “tecnici” che hanno disattivato la Costituzione e prodotto il declino economico e politico del paese. Tutto ciò orchestrato ad arte dai vari presidenti della Repubblica dell’ultimo ventennio, veri e propri garanti del Vincolo Esterno. La Francia e la Germania, pur così diverse tra loro per storia e cultura, sono tuttavia a loro modo sovrane, con un sussulto di autonomia che è il fondamento primo della democrazia. Non ci sembra pertanto forzato affermare che ci troviamo di fronte alla crisi terminale delle democrazie liberali.

L’unica possibile alternativa, in Italia e nei paesi europei risiede nell’organizzazione di tutti coloro (partiti, movimenti, sindacati, associazioni) che sono contrari a tutto questo crescendo in direzione di uno stato di guerra che è antidemocratico, disumano (la guerra in Ucraina e lo sterminio dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania su tutto) e che si chiama nuovo totalitarismo imperialista.