Crisi della sinistradi Fabio Vander

Il primo week-end di ottobre ha presentato alcune novità nel dibattito a sinistra che meritano se non altro di essere segnalate.

Mentre il governo Renzi procede su una strada che è quella dell’attacco alle conquiste sindacali, ai diritti sociali, quando non alla rappresentanza del lavoro in quanto tale, le voci dall’opposizione non sono adeguate alla sfida e alle necessità.

Di certo non si può fare affidamento su una “sinistra” Pd allo sbando politico, ma ormai anche culturale e generazionale. Il Bersani che lunedì in direzione vota no allo Jobs Act e martedì assicura che la minoranza voterà comunque sì allo stesso, dà la cifra dello stato di un’intera classe dirigente. Ancor meno si può fare affidamento sui vendoliani. La manifestazione di sabato a piazza S. Apostoli è stata nulla di partecipazione e di idee. Pare di capire si contrappongano due proposte: quella di Vendola di una «coalizione dei diritti e del lavoro» e quella di Airaudo e Marcon (sul «manifesto» di sabato 4) di una “convenzione” che dovrebbe portare a «un campo nuovo della sinistra senza aggettivi».

Insomma, o “coalizione” o “convenzione”. Come dire se non è zuppa è pan bagnato.

Può esistere un partito così? Senza idee, senza classe dirigente, senza linea politica, senza scopo. Ancora traumatizzato da una scissione dirompente che è stata semplicemente rimossa, come rimosso il problema rappresentato dalla Lista Tsipras (perché il raggiungimento del quorum alle Europee è stato solo un problema che si è andato ad aggiungere, non certo una opportunità). Si aggiunga per altro, sempre a proposito di rimozioni, che se il Pd ha un problema drammatico di tesseramento, cioè della struttura di un partito davvero democratico, con gli iscritti ridotti a circa 100.000, Sel il proprio tesseramento lo ha praticamente azzerato. Più che un partito liquido, un partito liquidato.

Dove si va così? Quanto pesa l’assenza di una sinistra del lavoro e del socialismo (no “senza aggettivi”!) sul tessuto democratico e sulle relazioni economiche, sociali e civili?

Norma Rangeri nell’editoriale del «manifesto» di domenica 5 ottobre ha auspicato una nuova soggettività di sinistra. Segnatamente ha invitato tutti i residui presenti sulla scena a «cedere un pezzo della propria sovranità» per contribuire a una «sinistra nuova» che abbia «radici profonde, un po’ eretiche, una sinistra che non separa e diritti individuali, libertà e solidarietà». Facile a dirsi ma difficile a farsi.

Sarebbe effettivamente ora di prendere sul serio la necessità di una fase costituente. Abbandonando le posizioni antipartitiche, antipolitiche e di conseguenza antidemocratiche dei vari Bertinotti, Revelli, Vendola, Marcon e compagnia. Detto per inciso: Bertinotti su «Gli Altri» ha dichiarato: «ha ragione la Le Pen oggi il conflitto è fra “alto” e “basso”» (non più “orizzontale” capitale-lavoro). Come se il conflitto non fosse sempre stato anche alto-basso, fra chi sta sopra e chi sta sotto, chi comanda e chi obbedisce, chi è ricco e chi è povero, chi frequenta i salotti e chi no. È a questa miseria che bisogna porre fine. Beninteso: lo hanno già fatto gli elettori, ma evidentemente non basta, deve prenderne atto anche quel che resta della sinistra.

Comunque salutiamo questa non sorprendente corrispondenza fra post-comunisti estremisti e post-fascisti. Il secolo “breve” continua.

Invece un post-comunista non estremista come Emanuele Macaluso su «la Repubblica» del 5 attacca il partito di Renzi e la sciagura di fondarlo sulle “primarie”, opponendogli la necessità di un «partito vero» per la sinistra. Un partito cioè capace di «un progetto politico che coinvolga migliaia di persone […]. Un luogo permanente di confronto articolato, di formazione di pensiero, di dibattito». Se questo manca, il problema non è tanto la struttura verticale alto-basso, ma ben più seriamente il campo aperto lasciato a «forze opache», con la politica e la democrazia esposte «al rischio di influenze esterne, di circoli o super circoli, che condizionano la vita pubblica. Un problema eterno della storia nazionale, che si pose già all’indomani dell’Unità d’Italia». Appunto.

Anche uno studioso come Giovanni Orsina, sulla «Stampa» del 18 settembre, notava che con il PD ridotto a «partito della nazione» Renzi «ha colmato parte del fossato che divide destra da sinistra, preparando il terreno per una grande confluenza al centro». Un’operazione, chiosa Orsina, «che in senso tecnico e non morale potremmo definire trasformistica». Guarda un po’.

Per questo occorre un partito di sinistra e socialista. Non è questione di politicismo. Ma di politica. Di costruzione di una alternativa. Al liberismo, al conservatorismo, al classismo, al «partito della nazione», al «patto del Nazareno».