armi ai curdidi Rino Genovese

Questo pezzo non può cominciare se non con un antipatico: “L’avevamo detto!” Noi pacifisti che undici anni fa manifestammo contro la seconda guerra del Golfo, contro l’invasione dell’Iraq di Saddam da parte delle potenze occidentali (compresa, per quel che conta, l’Italia), avevamo la chiara percezione non solo dell’inganno statunitense (ricordiamo le menzogne di Colin Powell all’Onu) ma anche della totale insensatezza politica di una guerra che avrebbe messo a ferro e fuoco un paese per non ottenere nulla, neppure quella pax che regna in un deserto (riprendendo la famosa citazione da Tacito resa popolare ai tempi del Vietnam). Ciò che si è realizzato – in particolare dopo il ritiro delle truppe americane deciso da Obama – è un governo di coloro che in passato erano sotto (gli sciiti) ai danni di coloro che erano sopra (i sunniti) nell’eterno ritorno, a parti invertite, dell’eguale.

Certo, se nel frattempo non ci fosse stata la crisi del vicino regime siriano, con le sue prolungate e nefaste conseguenze, forse non saremmo stati colpiti dalle notizie dei massacri che arrivano oggi da quella parte del mondo – ma resta il fatto che in Iraq l’Occidente (sempre che abbia un senso quest’espressione), del resto proprio come in Afghanistan, si è lasciato invischiare in una guerra civile tra gruppi etnici e tendenze religiose differenti, dentro un neotribalismo di cui non è riuscito in alcun modo a venire a capo e che anzi ha aggravato.

Intendiamoci: le radici storiche del disastro sono lontane: hanno a che fare con un processo di decolonizzazione che non ha mantenuto le promesse ed è sostanzialmente fallito (il caso più vistoso resta quello dell’Algeria). Ma l’Occidente ogni volta ci mette del suo, assumendo atteggiamenti neocoloniali, oppure semplicemente con politiche fallimentari (nel caso dell’Iraq si tratta di quelle impostate dall’amministrazione neoconservatrice americana dopo l’11 settembre 2001). Ora, a distanza di anni, la frittata irachena è servita. Tutti gli organi d’informazione vanno strepitando che l’avanzata del cosiddetto Stato islamico – una banda di avventurieri che ha ingrossato le proprie file nel conflitto siriano, e a cui fanno riferimento anche quelle “brigate internazionali” del jihadismo che, partendo dai paesi europei, vanno a uccidere e a morire nel nome di Allah – sta mietendo vittime a non finire soprattutto tra le minoranze religiose cristiana e yazidi. Soltanto i curdi, nuovi eroi, riescono a tenere testa con le armi all’avanzata jihadista (sunnita) che è arrivata a proclamare il califfato in un’ampia regione compresa tra la Siria e l’Iraq.

In realtà i curdi si battono da decenni strenuamente per la loro indipendenza contro tutti gli Stati dell’area, compresa la Turchia. Stiamo parlando di un popolo oppresso – non troppo diversamente da quello palestinese – privo di un proprio Stato, e capace tuttavia di fare politica senza cedere, com’è accaduto a Gaza con Hamas, all’estremismo settario. La questione curda non nasce oggi, sotto la minaccia jihadista. Una politica intelligente, da parte degli Stati Uniti e dell’Europa, non dovrebbe limitarsi a fornire viveri e armi, come si diceva una volta, per sostenere coloro che nell’emergenza hanno un immediato bisogno di aiuto. Dovrebbe essere in grado di individuare e correggere gli errori del recente passato per non cacciarsi, una volta di più, in un interminabile conflitto a base etnico-religiosa.