fine di Seldi Fabio Vander

Bibendum est. Sel è finita. Con il dissolvimento del gruppo alla Camera, con l’uscita non solo dal Gruppo ma dal “partito” di tanti parlamentari in fregola di passare al Pd, è stato superato il masso erratico che in questi anni ha impedito la costruzione di una sinistra autonoma e organizzata in Italia. Il «non voglio un partito ma riaprire la sinistra» del 2010 ha fatto la fine che ha fatto. Non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere.

Tutto questo per altro avviene in un quadro ben definito. Con la grande vittoria elettorale di Renzi alle europee, con il Pd sedicente «partito della Nazione», centro tolemaico del sistema politico, che ripropone nel panorama del XXI secolo il ruolo che fu della Dc.

E questo è un altro capitale problema che va a sommarsi a quello tradizionale della sinistra. Il problema della democrazia. È possibile che ancora oggi, all’inizio del terzo millennio, dopo la fine del comunismo e della guerra fredda, dopo la fine delle ideologie e della conventio ad excludendum ci sia bisogno di un centro inamovibile, di un “partito pigliatutto”? O non è che la patologia della Prima repubblica, che allora aveva comunque un senso date le condizioni della guerra fredda, si ripresenta aggravata nella Seconda, quando pure la “normalità” del confronto politico dovrebbe essere acquisita?

Ora la nuova centralità del Pd è un fatto. Sancita non solo dagli elettori alle europee, ma dalla mancanza di alternativa, a destra come a sinistra. Berlusconi è ormai solo una scheggia impazzita, Ncd non esiste come alternativa di destra democratica, ma poi in via di entrata nel Pd (e comunque nella maggioranza del governo Renzi) sono anche parlamentari da Scelta civica e altre formazioni minori; per non dire dei mille rivoli a livello locale.

Dunque abbiamo un problema della sinistra e un problema della democrazia. Insieme integrano gli estremi di un vero caso nazionale. Ultimo aggiornamento della eterna anomalia italiana.

Ricomincerei da qui a parlare della sinistra. Della sua natura e organizzazione e della sua funzione appunto nazionale e internazionale. La morte di Sel permette di aprire il capitolo di un nuovo partito della sinistra italiana. Socialista, del lavoro, della cultura. La lista Tsipras è stata un equivoco e solo un espediente. L’ineffabile Gennaro Migliore l’ha definita una «lista di scopo» (ma per lui anche Sel era un partito di scopo). A mio avviso, al netto dei transfughi nel Pd, si tratta ora di raccogliere le forze disperse della sinistra intorno a un progetto chiaro: dalla lista al partito.

Chi ha fatto il suo tempo si faccia da parte. Chi ha la responsabilità delle sconfitte e della inanità di questi anni va messo in condizione di non più nuocere. Per il resto la sinistra si ricostruisce con chi ci sta. Con chi crede che una sinistra sia necessaria. Non un cespuglio intorno a Renzi, ma un partito organizzato, forte, democratico, insediato nel territorio e nei posti di lavoro e non-lavoro. Un partito che fa della alternativa il suo valore di riferimento, la sua ragion d’essere. Alternativa al liberismo. Ma non solo. Alternativa al capitalismo nel senso e nelle forme in cui un discorso del genere può darsi nel XXI secolo. Senso e forme nuove, ma indispensabili.

Indispensabili se ancora ieri Marc Lazar, ragionando della crisi della sinistra europea, ha potuto porre due questioni capitali: «alleanza a sinistra o accordo col centro»? e ancora: «quale significato identitario dare al socialismo e alla sinistra del XXI secolo?». Unità a sinistra, alternativa, identità, socialismo. Di questo ragiona la migliore sinistra europea.

E riprendere a ragionare e a fare è tanto più necessario in Italia, in presenza di un Renzi debordante, di una sinistra inesistente e di una democrazia che non riesce a farsi matura. Un compito improbo evidentemente. Ma chiarire idee e responsabilità è un primo passo. Quanto al tempo poi per riprendere il cammino, non può che essere questo.