M5Sdi Mario Monforte

[Questo articolo è stato pubblicato sul numero 6 de Il Ponte – giugno 2014]

Elezioni del 25 maggio 2014 (europee, ma di primaria valenza interna al paese, pur nel rapporto con l’Ue, e inoltre estese amministrative): al Pd una messe di voti, verso il 41%; «successo storico» (tutto è ormai detto «storico», quanto meno lo è); Renzi, «commosso e determinato», si presta ai «bagni di folla» e va allo «sblocca Italia»; la Boschi parla di «partito rivoluzionario», beninteso «nelle idee» (ormai discorsi e misure, peraltro piú che discutibili, sono detti «rivoluzionari», nella banalizzazione pubblicitaria dei termini) – e via sciorinando retorica e scempiaggini.

Verso il 41%, sí, ma dei votanti, i quali, in base ai dati (quelli ufficiali), sul complesso degli aventi diritto (49.250.169), sono stati il 58,69% (28.908.004), di cui il 5,30% (1.536.257) ha posto nell’urna schede nulle, bianche, contestate. Il voto valido è stato il 54,39% (27.371.147), mentre il non-voto (astenuti, voti nulli, bianchi, contestati) è stato il 45,61% (21.779.002). Dunque, il Pd di Renzi ha avuto il consenso del 22,19% degli elettori; per l’insieme di M5S, Lega Nord, Lista Tsipras, Fd’I-An, ha votato il 20,06% degli elettori; per Forza Italia, Ncd, Idv e altri, ha votato il 12,14%. Detto questo per la precisione, che ridimensiona la “storicità” del successo di Renzi-Pd, fatto invece apparire come maggioranza totale, o comunque travolgente.

A ogni modo, pur ridimensionato da «rumori e fragori» mediatici, e da sospetti di brogli (che, del resto, non mancano mai, in nessuna tornata elettorale), il successo di Renzi-Pd è innegabile: in cifre assolute, circa 11 milioni di italiani l’hanno votato. Secondo è il M5S, con un po’ meno di 6 milioni di elettori. Terza è Forza Italia, con circa 4 milioni e mezzo di voti. Viene poi la Lega, che ha accresciuto i consensi, benché in maniera pur sempre contenuta, dato il suo “impianto” e il suo tipo di radicamento. Seguono gli altri, con la Lista Tsipras e il Ncd contenti di aver superato lo sbarramento (peraltro piuttosto assurdo, in elezioni del tutto proporzionali), con quelli del Fd’I-An scontenti di non esserci riusciti, ma felici di aver raddoppiato i consensi – e cosí via. Ma l’attenzione va spostata su altro – su tutt’altro.

Piú di 21 milioni di italiani si sono attestati nel non-voto: se per una ristretta minoranza si tratta di dissenso radicato, rispetto alle liste “in ballo” e alle stesse elezioni (sono persone che vorrebbero “altro” e “oltre”), per la grande maggioranza si tratta di disinteresse, misto sí a un sostrato di dissenso, che è significativo: “che ci si va a fare”, “è inutile”, “ma che vadano al diavolo”, ecc. E tuttavia è passivo, resta subalterno. È come un’inespressa confessione: “siamo sudditi, non ci capiamo niente e non ci possiamo far niente”, e “tanto … faranno come pare a loro”. Posizione infine di scarsa influenza, in fondo anzi nulla – infatti, dopo le solite espressioni preoccupate di circostanza, non se ne parla piú. È un attestato di sudditanza.

E gli 11 milioni di votanti per … il Pd? Ma no! Questa è la sigla della formazione partitica, della lista elettorale (con tanto di liste-costole di sostegno). Votanti per Renzi, con il suo “contorno”. Da dove vengono i voti? Inutile vedere le rilevazioni in merito: dalla ringalluzzita area del centrosinistra (mentre i piddini piú “sinistri” sono confuiti, insieme ai “sinistri” di Sel & simili, nella Lista Tsipras), ma anche dall’area del centrodestra e dall’autodenominato centro, e perfino da parte dei voti che erano andati a suo tempo al M5S (quelli che, allora sí, erano davvero «di protesta» e basta – mentre una ridotta quota di voti ex 5S sono anch’essi confluiti nella Lista Tsipras)

Cosí – come in molti hanno rilevato – il Pd si configura come una neo-Dc, che “raccoglie” da sinistra, centro, destra. Ma con una triplice forte differenza: 1) la conduzione personalistica nella figura del leader, rispetto alla pluralità di “capi” della vecchia Dc; 2) la linea liberistico-privatizzante, rispetto all’interventismo statale della vecchia Dc, con tanto di «Stato sociale» à la democristiana, ossia assistenziale (e anche lottizzato e consociato); 3) sempre rispetto alla vecchia Dc, che si barcamenava con un qualche “sgomitamento” di autonomia in politica estera (economica e non solo), questo Renzi & neo-Dc è del tutto «allineato e coperto» con Usa e Ue – certo, con l’accompagnamento di promesse su “ora si cambia l’Italia e l’Europa”, e consimili proclami.

La massa di voti ricevuti attesta la vischiosa persistenza dell’abitudine italica a situarsi nella sudditanza subalterna: poiché Renzi appare aver mantenuto la promessa (elettorale) della mancia (elettorale) di 80 € mensili per 10 milioni di dipendenti, si crede/si spera che manterrà anche le altre promesse (per i pensionati, per il fisco, ecc.) senza vedere di che si tratta, ci si lascia ciecamente allettare dal martellamento sulle «riforme» per cambiare, anzi “sbloccare”, l’Italia (senza capirci niente, poiché si tratta di un accentramento autoritario della gestione statuale in un’ulteriore avanzata del liberismo) e dai proclami sul “cambiamento dell’Europa” (senza capirci, niente, poiché gli imperativi Usa, del grande capitale transnazionale, la preminenza dello Stato germanico nell’area europea, non possono essere scalfiti davvero a fondo, senza far saltare i «Trattati» fra Stati su cui si fonda l’Ue, quindi l’Ue stessa cosí com’è – e infatti, pur con la concessione di una dilazione, è già arrivato il richiamo Ue a “conti in ordine”, “saldare il debito”, se no procedure di infrazione e imposizione di altre «manovre aggiuntive», alias spremiture).

Sudditi subalterni: questi 11 milioni di elettori rappresentano e manifestano ancora sempre la stessa attitudine italica – è quella che a suo tempo premiò il fascismo, poi e cosí a lungo la vecchia Dc, in seguito Berlusconi-Forza Italia-Popolo delle libertà, e adesso Renzi & neo-Dc. E che cosa sono Renzi & neo-Dc? Il “grosso” dell’interno “partito amerikano”, subordinato a Fmi-Bm-Omc-Ttip, e perciò filo-Ue-Bce-euro, connesso ad ampi comparti dell’oligarchia socio-economica (privata e di Stato, ivi compresa la massima parte della «classe politica» e dirigenze burocratiche) dominante (o meglio, sub-dominante: potere e profitto all’interno, ma sotto e pro imperativi “altrui”), con estese e profonde radici nei media, con estese cordate e catene di interessi e interessati, con diffuse “code” in “lista d’attesa”, e con tanto di fans, tifosi e illusi che fanno i militanti (vecchi e nuovi), e i seguiti di “greggi” manipolati – «strumenti ciechi di occhiuta rapina» (come disse il Giusti).

È inutile stare a dire della Lista Tsipras e del suo carattere opportunistico, da consueti “mezzi e mezzi”, sul piano dell’Ue – “Ue sí, ma meglio, ma cambiata”, “euro sí, ma cambiato”, ecc. – e anche sul piano interno della Grecia (dove svolgerà tale suo ruolo, essendo arrivata al primo posto), ma anche all’interno del nostro paese (i “sinistri” sono critici del Pd, ma sempre alla maniera manzoniana dell’adelante con judicio, per appoggiarlo nei momenti cruciali). Ed è inutile stare a dire di altri “pezzi” minori, come quello del Ncd, attaccato a Renzi &Co., pur con tanto piccati, quanto superflui distinguo. Tutta subalternità, tutta sudditanza.

C’è da dire qualcosa di Forza Italia. Il detto fiorentino, «fare come i ladri di Pisa» – che litigavano di giorno e andavano a rubare insieme di notte – designa la politica messa in atto da Berlusconi con Renzi: accordo sostanziale sulle cosiddette «riforme», sull’accentramento autoritario della gestione del potere e sull’avanzata del liberismo, e quindi supporto al governo Renzi & soci (non va dimenticato, assunto da Napolitano, con altra violazione ancora di ogni prassi, dopo quelle attuate con Monti e con Letta, e sostenuto ora con forza sempre da Napolitano), operando, poi, con varie critiche e attacchi. Ma di tale politica si è giovato appieno – com’era del tutto prevedibile – chi gestisce il potere statale, ossia Renzi, che detiene il governo, e non Berlusconi & Forza Italia, che ne stanno fuori e, formalmente, all’opposizione.

Il fatto è che Berlusconi, già rintuzzata alla (molto) peggio l’operazione Fini, si è piegato alla guerra contro la Libia e ha subito l’attacco dello spread, che hanno posto fine all’unico senso, e solo sul piano della politica estera, che poteva avere: una parziale e scombinata ripresa (dalla vecchia Dc) dello “smanettamento” estero (Libia, paesi arabi), con, in primo luogo, i rapporti con la Russia di Putin – il che è inammissibile per il controllo Usa sull’Italia, né per l’Ue a preminenza dello Stato germanico (né per l’azione da boxer degli Usa dello Stato britannico, né per i tentativi, pur infine di scarsa portata, di grandeur subalterna dello Stato francese). Ne è seguito il suo crollo, con successivi tentativi inutili di rivincere, o comunque di rimettersi in gioco, allineandosi alla subordinazione Usa e Ue. Quei comparti dell’oligarchia socio-economica italica che lo sostenevano l’hanno via via abbandonato, o lo stanno abbandonando; scarsa la sua influenza sulle nuove nomine ai vertici delle centrali economiche rimaste di Stato o a forte presenza statale; colpito infine sul piano giudiziario, mentre altri processi sono per lui all’orizzonte … Berlusconi ha un bel parlare, ora, di colpi di Stato (peraltro una suite di «golpe bianchi» vi sono davvero stati, dal governo Napolitano-Monti in poi), ma, per agire contro, il tempismo è essenziale in politica, e adesso è fuori tempo, per di piú è privo di una propria strategia, mentre ha perso “pezzi” della sua formazione partitica da tutte le parti – e le relazioni con la Lega erano diventate pessime.

La politica antipopolare e classista pro-oligarchia – nell’accettazione piena della subordinazione a Usa, Ue, «organismi internazionali», per mantenere uno Stato-commesso di altrui e un’oligarchia sub-dominante -, la politica autoritaria e liberista, e nel contempo demagogica, è stata assunta da altri, cioè da Renzi & neo-Dc, e quindi Berlusconi, con Forza Italia, vede crescere il dissesto interno e andare in caduta libera i consensi del suo aggregato di interessi e interessati, con i suoi fans e illusi, e con la sua componente di “greggi”. Non a caso, ora Berlusconi si ravvicina da un lato con la Lega (sull’appoggio ai referendum leghisti – alcuni dei quali anche sensati, in primis, va detto, quello per l’abolizione della «riforma Fornero» delle pensioni), dall’altro con Fd’I-An, e punta i piedi su alcune delle «riforme» concordate con Renzi. Ma ciò non basterà, perché il nazionalismo di Fd’I-An mal si combina con il “padanismo” leghista, e perché gli ostacoli a parte delle “misure” renziane vanno insieme all’osservanza dell’accordo: non c’è alcuna sostanziale linea alternativa. E dunque, anche con l’insieme del “terzo arrivato” alle elezioni si sguazza solo nella subalternità.

E il M5S? Che piaccia o meno – contro tutte le critiche di politici e opinionisti “di sistema”, quelli che usano in senso falsificante il termine falsificato di populismo: tutti operatori della subalternità -, è e resta l’unica opposizione esistente e consistente, che contrasta l’estesa sudditanza e può contrapporsi all’affondamento in atto del paese in un “pontone” a disposizione (strategica, politica, economica, sociale, culturale) altrui. Ma il M5S perde circa un terzo dei consensi (rispetto alle elezioni politiche). Il «vinciamo noi» non ha funzionato e il «noi o loro» ha dato il responso: «loro».

Perché? Si è detto: “Grillo è stato troppo terrifico”, “ha spaventato con i processi popolari” (pur solo “in rete” e senza implicazioni giuridiche), “ha urlato troppo e insultato troppo”, e cosí via. Ma ciò, se può aver avuto qualche ricaduta negativa, non costituisce una rilevazione centrata. Né lo è supporre un gigantesco broglio a favore di Renzi. In realtà, un troppo c’è stato, ma un troppo diverso: i «7 punti» sull’Ue si sono dimostrati troppo poco “mordenti” e incisivi (sono risultati oscillanti, non nette, le posizioni su Ue-Bce-euro, debole il “discorso” sullo Stato germanico, inesistenti le posizioni che non fossero solo di critica, ma anche di superamento dell’Ue); troppe le insufficienze sul piano interno (non basta il «reddito di cittadinanza», che si rivolge soprattutto ai giovani, e nemmeno il solo “sostegno” alla piccola e piccolissima impresa cosí com’è, mentre occorrono almeno le linee di un piano “altro” relativo alla produzione-riproduzione nel suo complesso, svincolate dagli imperativi del “sistema” liberista globalizzato); troppe le omissioni (grave non toccare il “nodo” delle pensioni, e parlare poi di «paese di pensionati», e grave la posizione ambigua sull’immigrazione, che va, invece, arrestata precisamente nel quadro di un piano “altro” di economia, nonché di visione della società); troppe le carenze (e pesante il silenzio sulla «sovranità limitata» dell’Italia, alias subordinazione agli Usa).

Comunque, il M5S ha avuto, ha, e mantiene, il grande merito sia di aver spinto, e spingere, tante persone a cessare di porsi e sentirsi come sudditi, trovando la decisione di farsi avanti e agire in prima persona contro il disastro in cui affonda il paese, sia di aver bloccato, e bloccare, l’altrimenti possibile crescere e dilagare di posizioni fasciste-naziste, o para-fasciste-naziste, o di destra retriva. Ma, per esempio, la chiara decisione delle posizioni del Front national (del tutto opinabili nella loro articolazione, certo, però ben chiare su sovranità, Ue, euro) o dell’Ukip (altrettanto opinabili, ecc., però … come sopra), ha dimostrato di aver avuto piú forza e pregnanza.

Tuttavia, infine e soprattutto, nel M5S è mancata una prospettiva galvanizzante, capace di andare oltre il solo “mettiamo le persone oneste nelle istituzioni” (le persone oneste ci vogliono davvero, ma le istituzioni sono strutturate altrimenti, come comando e sede di “operazioni” della «classe politica») e di sostanziare la democrazia (quella reale: vera, effettiva, davvero diretta, e non aggettivata con «rappresentativa», «elettiva», «partecipata», «condivisa», ecc., né sostituita e sostituibile dalla “rete”, dimostratasi certamente molto utile, però sopravvalutata, e anche ideologizzata) – se no, si dà adito, com’è appunto successo, all’immagine (subalterna, organica al “sistema”) per cui: “che ci stanno a fare i 5S in parlamento, se non si accordano con nessuno”, “ma non combinano niente”, “sono inutili”, e cosí via.

Insomma: insufficienza di analisi, perciò di progetto, quindi di incidenza, dunque di “spinta” – e tutto ciò ha pesato in negativo, tanto piú di fronte alla persistenza, radicata, manipolata, “pompata”, dell’attitudine e abitudine italiche alla sudditanza. Non si intende dire che, con una campagna che comprendesse i “nodi” indicati, il M5S avrebbe vinto – peraltro, raggiungere il 51% dei consensi ripropone un po’ una vecchia illusione, già dei partiti socialdemocratici di fine Ottocento -, però, forse, avrebbe perso meno, o comunque avrebbe perso diversamente: con solidità.

Infatti, ora procedono dibattiti e contrasti interni al M5S, nonché riflessioni esterne – con un pressing. Quale? Quello che emerge non solo dagli «espulsi» dal movimento, ma anche da suoi esponenti di rilievo, nonché dagli addetti ai media che si sono posti come piú favorevoli, o piú aperti, o piú attenti. È la pressione a normalizzarsi. Il significa: normalizzarsi nelle forme e toni (dichiarazioni e iniziative, propaganda e agitazione, ecc.); nell’azione parlamentare (alleanze e supporti su proposte e linee altrui, ecc.), quindi anche a livello di azione nelle assemblee elettive regionali e locali; nelle relazioni con i media; come organizzazione (ossia strutturarsi come partito). Insomma: situarsi appieno nel “sistema”.

La spinta in tal senso è oggettivamente forte, non foss’altro perché le elezioni hanno attestato che un grosso comparto di italiani stanno nel “sistema”, vi sperano, ne attendono mutamenti favorevoli, e si affidano al sotér di turno Ed è tanto piú forte, quanto non risulta nel M5S la diffusione di un’analisi adeguata del “sistema” come tale (al di là del giusto attacco a «classe politica», suoi partiti, affaristi, malversazioni, leggi e misure negative, errate o mancanti, ecc.), sul piano dell’economia politica (capitalismo) che permea il paese e sui cosiddetti «vincoli internazionali», e sul piano della strutturazione dello Stato (“altro asse” del “sistema”, fatto ad hoc, per cui – va ripetuto – non basta “metterci” persone oneste). Ma normalizzarsi sarebbe l’avvio della fine del senso e valore del M5S. E tuttavia correzioni e sviluppi appaiono indispensabili.

E allora, che fare? Occorre dare un contributo volto a salvaguardare questo patrimonio di persone attive e milioni di voti, con le caratteristiche di anti-sudditanza indicate, che è e resta una base su cui procedere. Dunque, sarebbe necessario: 1) sviluppare l’analisi, indispensabile e che pare mancare, sul “sistema”, sui suoi “assi portanti”, sulla realtà del nostro paese e su che cosa significano i «vincoli internazionali» – il che comporta l’elaborazione di un progetto, chiaro e ben fondato, di “altro” e “oltre”. 2) Centrare il M5S come coerente movimento per la democrazia, che è solo quella reale, comprendendo e facendo comprendere che quella attuale, che si fregia di tal nome, non lo è (è solo l’esproprio, organizzato e manipolato, della sovranità popolare), e che è la democrazia la chiave di soluzione dei “nodi”, problemi, contraddizioni, e l’apertura di un “mondo nuovo”. 3) Organizzare, perciò, il movimento come democrazia nel contempo in atto e in fieri, ossia connettendo non solo verticalmente ma anche orizzontalmente i comparti locali dei 5S, strutturandoli già sull’attuazione della democrazia a livello locale al loro interno (sorteggio e rotazione delle istanze dirigenti) e nella loro interconnessione, sia livello di area, zona, antiche civitates, sia di regione, sia a livello nazionale (con istanze elettive, a rotazione e a termine, e persone, se del caso, immediatamente revocabili), e puntando a organizzare in tal modo, con tutto l’arricchimento di esperienza e formazione che ciò comporta, la parte maggiore coinvolgibile dei milioni di consensi, educando a essere cittadini masse ampie di persone, e situando la “rete” nella sua funzionalità a un’organizzazione concreta, mentre si prefigura e fa capire “come deve essere” l’“altro” e “oltre” (e questa è la necessaria organizzazione, mentre evita ogni forma di partito, che, come si è detto ma non è inutile ripetere, è un “pezzo” di Stato, quindi di “sistema”, e mal-educa alla statualità e alla subordinazione). 4) Costruire, su tali basi, uno stretto rapporto tra il movimento cosí organizzato sul territorio e gli eletti del M5S, a tutti i livelli e su tutti i “nodi”.

Lo si può fare: ci si può fornire di centri di elaborazione e formazione permanente, si può sviluppare e assumere un’analisi adeguata e un progetto vincente, aprendo le iniziative conseguenti già possibili, si può incominciare a mettere in atto la democrazia. Basta capirlo – e volerlo.