Perché una “controstoria” del liberalsocialismo? Al centro del liberalsocialismo degli anni trenta-quaranta del Novecento c’è Aldo Capitini con il suo esempio etico-politico e la sua tenace opera di organizzatore, e al centro della rete di collegamenti che promuove e costruisce a livello nazionale c’è l’area umbro-toscana. È in quest’area che il liberalsocialismo capitiniano, socialista e “omnicratico”, già nella fase di preparazione della Resistenza prende distanza dalle posizioni liberal-democratiche dell’azionismo per sviluppare i propri temi nell’immediato dopoguerra e nei decenni successivi: un percorso saldamente guidato e organizzato da Capitini fino alla morte nel 1968.
Nella notte della democrazia liberale, oggi in profonda crisi in Occidente, tutte le vacche sono liberali e democratiche. E in nome della democrazia e della libertà si consumano le più atroci nefandezze (economiche, militari e culturali). La vicenda del liberalsocialismo degli anni trenta-quaranta del Novecento e dei suoi ulteriori sviluppi di “processo” (dal liberalsocialismo al capitiniano «potere di tutti») è stata spesso riscritta e deformata in chiave liberale e antisocialista. Per questo, ma non solo per questo, abbiamo ritenuto opportuno ridare voce ai protagonisti di quella storia (Aldo Capitini, Walter Binni, Tristano Codignola, Enzo Enriques Agnoletti, Piero Calamandrei), ai loro amici e compagni (Guido Calogero, Tommaso Fiore, Carlo Ludovico Ragghianti, Bruno Enei, Cesare Luporini, Norberto Bobbio, Alessandro Natta, Maria Luigia Guaita, Carlo De Cugis, Luigi Russo, Gaetano Arfè e tanti altri, spesso dimenticati) per aprire oggi un confronto attivo con quelle esperienze teoriche e pratiche, per un nuovo socialismo a venire, in tempi di guerra.