di Luca Baiada

La memoria dei crimini nazifascisti senza la giustizia, senza neanche tentarla, è quasi una beffa, un’istigazione a ripetere.

La giustizia penale su stragi e deportazioni è stata vanificata: malgrado i processi dalla metà degli anni novanta, la Germania non ha consegnato i colpevoli: gli ergastoli sono rimasti senza esecuzione e la morte indisturbata di quei nazisti segna un fallimento. Non è così per la giustizia civile: lo Stato tedesco deve i risarcimenti, il credito non si prescrive e produce interessi. In teoria, il tempo non giova all’impunità. Ed ecco che l’ingiustizia ripiega su altri arnesi: l’indifferenza, i diversivi, le complicità.

La possibilità di azioni contro la Germania davanti all’autorità giudiziaria italiana è certa, specialmente dopo il caso Ferrinii, dopo le sentenze di Cassazione del 2008, in sede civile e penaleii, e dopo le altre successive, di merito e ancora di Cassazione, come quella sui crediti delle ferrovie tedescheiii. Ma nei processi civili di questo tipo, da anni, interviene l’Avvocatura dello Stato, per la presidenza del Consiglio o per il ministero degli Esteri, chiedendo il rigetto della domanda. Sono interventi contro gli interessi dei familiari delle vittime: di fatto, una sorprendente difesa di Berlino a spese del contribuente italiano. La cosa è stata commentata dall’informazione e dalla dottrina giuridicaiv; alle inaugurazioni dell’anno giudiziario ci sono state critiche di magistrati e cittadiniv.

L’epoca determinante, nell’attivazione dell’Avvocatura, sembra individuabile in un periodo che comincia nel 2008. Proprio in quell’anno si segnalano appunto le sentenze della Cassazione e a novembre, a Trieste, un vertice italo-tedesco con Silvio Berlusconi e Angela Merkel. Ma chi ha attivato l’Avvocatura, e perché?

Un Foia, Freedom of Information Act, è stato introdotto in Italia nel 2016vi; nelle intenzioni, per «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche» e «promuovere la partecipazione al dibattito pubblico». Il Dipartimento della funzione pubblica indica propositi ambiziosi:

Giornalisti, organizzazioni non governative, imprese, i cittadini italiani e stranieri possono richiedere dati e documenti, così da svolgere un ruolo attivo di controllo sulle attività delle pubbliche amministrazioni. L’obiettivo della norma è anche quello di favorire una maggiore trasparenza nel rapporto tra le istituzioni e la società civile, e incoraggiare un dibattito pubblico informato su temi di interesse collettivovii.

Non essere assassinati o deportati è il minimo da garantire ai cittadini; se subiscono questi trattamenti, bisogna schierarsi per la giustizia. Se l’assassinio colpisce decine di migliaia di persone, la deportazione centinaia di migliaia, ma prevale la ragion di Stato e le autorità sono inerti o peggio, che senso ha chiedere giustizia per casi singoli? per esempio, per Giulio Regeni? Comunque, che senso ha la cittadinanza?

E poi, con quei crimini dal 1943 al 1945 il nazifascismo contrastava la formazione dei pilastri dell’Italia moderna: Resistenza, Liberazione, Repubblica. Lasciare quei delitti senza conseguenze significa che le fondamenta sono fragili, i valori recitativi, i celebranti usi alla riserva mentale. Piero Calamandrei nel 1950:

Abbiamo avuto per venti anni, sotto il regime fascista, l’esperimento di un ordinamento giuridico a doppio fondo, nel quale, dietro lo scenario venerando dello statuto albertino, un regime di assolutismo dittatoriale faceva tranquillamente i suoi affari. Non vorremmo che anche la Repubblica diventasse un apparato di illusionismo costituzionale dello stesso stampo!viii

Il governo che per primo ha attivato l’Avvocatura aveva una compagine politica; il presidente del Consiglio, il ministro, avevano nomi e volti. I loro successori, che non hanno cambiato quelle decisioni, anche.

Sono state proposte istanze di accesso, per approfondireix. Dopo i rigetti ci sono stati due ricorsi al Tar del Lazio. Vale la pena dire qualcosa sui principali passaggi.

In un primo momento ci si è rivolti all’Avvocatura dello Stato e al suo Responsabile della trasparenza. I rigetti hanno richiamato il segreto professionale sui rapporti fra amministrazione e Avvocatura, invocando un discutibile provvedimento di un presidente del Consiglio (il d.p.c.m. 200 del 1996 di Lamberto Dini); tutto questo è inconciliabile con norme di legge successive, di forza normativa superiore e rispondenti a valori costituzionali e internazionali, e anche con una riserva di legge derivante dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomox. Insomma, il rifiuto di accesso è distante da diritti e principi fondamentali. Più nel profondo, stride col ruolo del giurista nella società. Nel convegno a Palazzo Madama Stragi e deportazioni nazifasciste: per la giustizia e contro l’ambiguità, nel 2019, la senatrice Liliana Segre ha ricordato la strage morale, danno oscuro che va oltre l’immensità di uno sterminio, perché offende i vivi con una deprivazione etica e culturale.

Il no dell’Avvocatura è stato confermato dal Tar Lazioxi. Per il Tar il segreto professionale è decisivo. Sul fatto che questi interventi siano iniziative dello Stato in processi di cui non è parte sin dall’inizio: «Si trattava comunque di attività istituzionale ai sensi degli artt. 1 e/o 13 del R.D. n. 1611/33». In questo modo lo Stato decide da sé cosa sia istituzionale, perciò interviene nei processi degli altri senza spiegazioni. Il Tar intravede che così della nostra Carta fondamentale resta poco, ma supera la questione di costituzionalità:

Il segreto professionale della Avvocatura dello Stato, […] di per sé non costituisce un ostacolo assoluto a che il ricorrente prenda cognizione dei documenti richiesti, perché egli potrà esercitare l’accesso civico presso l’amministrazione che ha formato tali documenti, e che certamente ne detiene copia. Tale amministrazione effettuerà le proprie valutazioni e, se riterrà, a sua volta, di dover opporre un diniego, dovrà indicarne le ragioni, essendo tale diniego a sua volta suscettibile di ricorso e di sindacato giurisdizionale. Le considerazioni che precedono dimostrano che il segreto professionale opposto, nel caso di specie, dalla Avvocatura dello Stato, in realtà non è tale da vanificare in maniera assoluta il diritto di accesso attivato dal ricorrente.

Il cittadino prende atto dello smacco, si adegua e ricomincia la trafila. Si rivolge al ministero degli Esteri: no. Poi al suo Responsabile della trasparenza: ancora no. Stavolta non possono avvalersi del segreto professionale, quello vale per l’Avvocatura, allora ecco altro. Torna il decreto Dini del 1996. Si temono danni alle relazioni internazionali, intese con un perimetro enorme. Si vuole un «comportamento proattivo nella protezione delle immunità» (cioè della Germania) in base alla sentenza della Corte dell’Aia del 2012xii, trascurando: primo, che nella sentenza quell’obbligo non c’è; secondo, che dopo il deciso della Corte costituzionale del 2014xiii essa non ha valore in Italia: ridarglielo è come dire che la Farnesina è all’estero. Si invoca «una condotta collaborativa» (parola infelicissima: il debito deriva da crimini commessi con la complicità dei collaborazionisti) e si richiamano le convenzioni di Vienna, 1961 e 1963, sulle relazioni diplomatiche e consolari. L’ottima sentenza della Consulta del 2014 ne esce ribaltata: ha fermato l’ingresso indiscriminato in Italia della sentenza dell’Aia e dell’immunità, ora torna tutto come prima. Una restaurazione. Le Convenzioni di Vienna diventano il Congresso di Vienna.

Ancora, l’amministrazione invoca la Convenzione Onu sulle immunità degli Statixiv. Non è mai entrata in vigore; comunque, il giorno in cui vigesse, l’immunità non dovrebbe essere affidata a interventi dell’Avvocatura caso per caso, come è accaduto, ma a un criterio generale. Il punto è, che nessuna legge potrebbe riproporre l’incostituzionalità che la Consulta ha tolto di mezzo. Forse è stato proprio il divieto di favorire la Germania per legge, dopo il 2014, a dar nuovo impulso agli interventi dell’Avvocatura e al segreto. Se è così, c’è un atto fantasma che se fosse legge sarebbe incostituzionale: il segreto sui rapporti con Berlino ha prodotto una legge segreta a Roma.

Sempre nei rigetti amministrativi si paventa «un fondato rischio di pubblicazione a mezzo stampa». La stampa è un pericolo. A meno che faccia comodo, come quando il ministro degli Esteri Franco Frattini, sulla «Süddeutsche Zeitung» del 20 giugno 2008, su questi temi rilasciò dichiarazioni in favore della Germania. Persino il perché dei rigetti, non dica troppo: «Un’ulteriore esplicitazione delle motivazioni a fondamento della mancata divulgazione potrebbe produrre lo stesso effetto di compromettere le relazioni internazionali». I bravi a don Abbondio: «E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti… ehm… sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio».

Nuovo ricorso al Tar Lazio. Il Tar, secondo cui il segreto professionale dell’Avvocatura non vanifica il diritto di accesso, che dirà? Si è seguita la strada indicata, ci si è rivolti all’amministrazione, si può avere fiducia. Giuseppe Mazzini nel 1859: «La Diplomazia è come i fantasmi di mezzanotte: minacciosa, gigante, agli occhi di chi paventa, si dissolve in nebbia sottile davanti a chi le muova risolutamente incontro»xv. Chissà.

Arriva la seconda sentenza del Tar: ancora un rigettoxvi. La decisione riconosce l’accesso come diritto fondamentale, ma è solo un deferente omaggio. Il Tar ricapitola le eccezioni, assolute e relative, cita sentenze del Consiglio di Stato, soprattutto una dell’adunanza plenaria: le eccezioni relative si caratterizzano per «il fatto che non sussista a monte, nella scala valoriale del legislatore, una priorità ontologica o una prevalenza assiologica di alcuni interessi rispetto ad altri, sicché è rimesso all’amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti»xvii. Prosa difficile, la prevalenza assiologica? È facile il bilanciamento: nel collegio dell’adunanza plenaria c’è Franco Frattini. Ministro degli Esteri nel 2008, rieccolo che partecipa alla giurisprudenza.

Per il Tar, in questo caso l’eccezione all’accesso è relativa, e non resta che un controllo motivazionale. L’inconveniente: una motivazione ben fatta, ragionevole, piena di senso comune (per esempio, sull’opportunità di non fare sgarbi a una potenza politica o economica) può violare i diritti delle persone. L’accesso diventa il diritto di avere una motivazione coi fiocchi, un bel componimento, che dice no. Va proprio così: la motivazione regge e l’accesso non si fa.

Il promotore degli accessi e il ricorrente al Tar sono io. Ho partecipato ai processi sui massacri nazifascisti. Sono il presidente e l’estensore dell’ultima sentenza penale italiana sullo sterminio degli ebrei: l’impiccagione degli Zamorani, appartenenti alla famiglia di quel Bondi Zamorani che fu tra gli inviati al Gran sinedrio dell’Impero francese e del Regno d’Italia, convocato da Napoleone nel 1807. Uno Zamorani a Parigi, mentre rosseggia il crepuscolo del Secolo dei Lumi, a discutere lo statuto degli ebrei nell’Europa moderna, e due Zamorani sulla forca a Forlì, nel buio delle stragi. Arduo sunto. La cittadinanza sancita dal 1789 e messa alla prova anche con la questione ebraica, è incrinata da una ragion di Stato assolutistica in cui la Restaurazione comincia nel 1814 e prosegue adesso, nella distanza sempre più ampia fra il cittadino e il potere.

Se le democrazie sbiadiscono, la questione della responsabilità per i delitti di Stato diventa una frontiera del futuro che c’è già. Appunto: Giulio Regeni, ma anche Andrea Rocchelli, Daphne Caruana Galizia o Jamal Khashoggi. Il delitto di Stato è un delitto perfetto. Per questo gli scrigni del potere sono intoccabili e Julian Assange è ancora un bersaglio.

Vedo la serratura, non ho la chiave ma mi rifiuto di accettare che non ci si preoccupi per quest’uscio chiuso. Ed eccomi a ricomporre i pezzi di un mosaico che non torna mai. Ad altri, stabilire se siano meriti, perché ogni storia è dentro la Storia. A me, ammettere quanto pesa dire io, su tutto questo, e quanto è impegnativo. Stendhal, Il rosso e il nero: «Guai all’uomo di studio che non appartiene ad alcuna consorteria; gli saran rimproverati anche i più piccoli e incerti successi, e l’altra virtù trionferà derubandolo». Ma è un fatto, che neppure per gli Zamorani la Germania ha estradato il colpevole né ha risarcito. Lo stesso per Maria Malucchi, quattro mesi al Padule di Fucecchio, e Anna Pardini, venti giorni a Sant’Anna di Stazzema. O Pasquale Infelisi, maggiore dei carabinieri passato alla Resistenza.

È strano, che un magistrato faccia causa allo Stato, a sue spese, per sapere chi ha deciso un posizionamento contro le vittime dei crimini che ha giudicato. Questo ruolo mi imbarazza, ma ho solo portato avanti un’iniziativa che mi sembra normale, in una società democratica e nel vivere. Nel 1943, un lavoratore austriaco antinazista condannato a morte, alla figlia: «Credimi: chi vive solo per sé, chi solo per sé cerca la felicità, non vive bene e nemmeno felice. L’uomo ha bisogno di qualcosa che sia superiore alla cornice del proprio io, dico di più, che sia sopra al suo stesso io»xviii.

È più strano, che l’Italia attivi la sua Avvocatura, contro i cittadini, per stragi e deportazioni fatte dai nazisti. Evidentemente su questi delitti, sulla loro copertura e sull’inadempimento dei risarcimenti c’è ancora molto da capire. Quanti ministri degli Esteri ci sono, in questa storia? Partendo dal vertice di Trieste Berlusconi-Merkel, nove. E poi ci sono geometrie politiche, rapporti di forza internazionali e altro.

La storia di questi rifiuti di accesso, e delle due sentenze del Tar Lazio, comunque è interessante quanto all’impunità del nazifascismo, in tema di relazioni internazionali, e più in generale sui rapporti fra cittadini e potere.

Ma sui risarcimenti dovuti da Berlino, torniamo alla seconda sentenza del Tar Lazio. Citando la Corte dell’Aia del 2012, aggiunge:

La stessa Corte ha anche espressamente riconosciuto che il difetto di giurisdizione dei giudici italiani comporta un sacrificio dei diritti fondamentali dei soggetti che hanno subito le conseguenze dei crimini commessi dallo Stato straniero ed ha individuato, sul piano del diritto internazionale, nell’apertura di un nuovo negoziato il solo strumento per definire la questione.

È vero: già la decisione dell’Aia contiene un riferimento a nuovi negoziati, e significa che le vittime hanno ragionexix. Nel seguito, i negoziati ritornano:

Il richiamo alle suddette sentenze [dell’Aia e della Consulta], da parte della resistente amministrazione nel proprio provvedimento di diniego, soprattutto alla luce dell’invito all’apertura di un negoziato per la risoluzione delle controversie di specie, da parte della Corte di giustizia internazionale, e l’opposta decisione del giudice interno, e di conseguenza, l’operato richiamo alla necessità di tutelare le relazioni internazionali in atto, non appare a questo collegio fondare una motivazione affetta da quei vizi manifesti della scelta discrezionale che soli possono condurre all’annullamento dell’opposto diniego.

Sembra che per il Tar il rifiuto di accesso sia solido perché collegato alle nuove trattative, soprattutto alla luce dell’invito a intavolarle. Di fatto, non si ha notizia di alcun passo concreto. Ma l’amministrazione vi fa riferimento e per il Tar è determinante. Da un lato è bene, perché si ribadisce quel punto della sentenza dell’Aia. Ma dall’altro la possibilità di trattative diventa un modo per tutelare il segreto sull’attivazione dell’Avvocatura, e indirettamente per lasciare le vittime a mani vuote. Trattative reali darebbero tutela, quelle nominali la negano. Una cosa è certa: di nuove trattative con la Germania parlano la Corte dell’Aia, il ministero degli Esteri e il Tar Lazio. Non farle è ingiustificabile.

A tutta la Repubblica, cioè ai vivi e non solo ai morti, si devono verità e giustizia. Anche su questo si misura la compresenza indicata da Aldo Capitini: «Perché come si potrà apprezzare la liberazione se non saranno con noi anche i morti a festeggiare?»xx. Da un lato c’è la compresenza, dall’altro l’indifferenza.

Bisogna dare corpo alla democrazia e alla trasparenza, far sì che il sangue delle persone scorra nelle vene e non fuori. L’attivazione dell’Avvocatura dello Stato in difesa del nazismo, se non ha ancora responsabili con nomi e volti, per certi aspetti è chiara, come è chiaro che deve finire. Lo Stato deve attivarsi perché i risarcimenti siano pagati e le vertenze chiuse.

i Cass. Ss.Uu. civili 6 novembre 2003, dep. 11 marzo 2004, n. 5044.

ii Cass. Ss.Uu. civili 6 maggio 2008, dep. 29 maggio 2008, nn. 14199, 14201, 14202, 14203, 14204, 14205, 14206, 14207, 14208, 14209, 14210, 14211 e 14212; Cass. prima sezione penale 21 ottobre 2008, dep. 13 gennaio 2009, n. 1072.

iii Cass. terza sezione civile 25 giugno 2019, dep. 3 settembre 2019, n. 21995.

iv Carlo Bonini, Risarcite mio padre deportato dai nazisti, «la Repubblica», 30 novembre 2016; «Le iene», puntata Lo Stato calpesta la memoria di un partigiano, 26 aprile 2017; Maria Cristina Fraddosio, Crimini di guerra nazisti: «La Germania deve ancora all’Italia 100 miliardi di euro», «il Fatto Quotidiano», 26 aprile 2019; Valentina Gentile, Stragi naziste in Italia: «La Germania può e deve pagare», 19 maggio 2019, www.lastampa.it. Paolo Veronesi, Colpe di Stato. I crimini di guerra e contro l’umanità davanti alla Corte costituzionale, Milano, FrancoAngeli, 2017, pp. 125 e 240.

v www.ilfattoquotidiano.it, 1° marzo, 30 settembre e 31 ottobre 2018. Mi permetto di rinviare anche a Emergenza italiana, debito tedesco: questioni di metodo, «Il Ponte», n. 3, maggio-giugno 2020, pp. 29-32.

vi Decreto legislativo n. 97 del 2016, che modifica il decreto legislativo n. 33 del 2013.

viii Piero Calamandrei, Repubblica pontificia, «Il Ponte», n. 6, giugno 1950, p. 695.

ix Mi permetto di rinviare a La Repubblica non difenda i crimini nazisti, 21 maggio 2019, www.ilponterivista.com, anche per i profili di diritto comparato stimolati da Cass. prima sezione civile 12 gennaio 2011, dep. 20 maggio 2011, n. 11163, che cita United States Ninth Circuit Court of Appeal, 29 dicembre 1989.

x Art. 10, «Freedom to hold opinions and to receive and impart information and ideas without interference by public authority».

xi Tar Lazio, sezione prima, 25 giugno 2019 n. 8264.

xii Corte internazionale di giustizia, 3 febbraio 2012.

xiii Corte cost. 22 ottobre 2014 n. 238.

xiv Convenzione Onu sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, New York 2 dicembre 2004.

xv Giuseppe Mazzini, Pagine scelte. Esposte e dichiarate da Francesco Luigi Mannucci, Francesco Perrella, Firenze-Napoli, Società anonima editrice, s.d., p. 182.

xvi Tar Lazio, sezione terza ter, 22 maggio 2020 e 20 ottobre 2020, dep. 19 gennaio 2021, n. 748. Il Tar, applicando d’ufficio le norme sulla protezione dei dati personali, «a tutela dei diritti o della dignità degli interessati», ha disposto l’oscuramento delle mie generalità o di qualsiasi dato che mi renda identificabile. Ringrazio per la cortesia, ma ho solo provato a fare qualcosa di buono. Forse si è pensato che due sconfitte legali fossero mortificanti: se è così, il problema segnalato da Franco Giustolisi con l’espressione Armadio della vergogna, densa di significato, in Italia non è stato ancora risolto.

xvii Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 19 febbraio 2020, dep. 2 aprile 2020, n. 10.

xviii Rudolf Fischer, in Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli (a cura di), Lettere di condannati a morte della Resistenza europea, Torino, Einaudi, 2017, p. 33.

xix Corte internazionale di giustizia, 3 febbraio 2012, paragrafo 104.

xx Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, Firenze, Il Ponte Editore, 2018, p. 225.