di Giuseppe Terra
[Da Fornero a Tria, da Tridico a Lerner, esponenti di vertice delle istituzioni e dei media ospiti dell’Università del Sannio per discutere del nuovo libro di Emiliano Brancaccio. A partire dalla tesi di fondo: per scongiurare una “catastrofe” sociale servirà una “rivoluzione” della politica economica basata su una rivisitazione, in chiave moderna, del rapporto tra pianificazione collettiva e libertà individuale].
Sta suscitando interesse e dibattito il nuovo libro di Emiliano Brancaccio: Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione, edito da Meltemi e di cui la rivista «Il Ponte» aveva pubblicato qualche mese fa una ghiotta anteprima. Dopo le recensioni entusiaste di varie testate, da «l’Espresso» all’«Huffingtonpost», e l’endorsement di Moni Ovadia e altri esponenti del mondo culturale, lo scorso 15 dicembre il libro è stato oggetto di riflessione tra alcuni dei massimi rappresentanti delle istituzioni e dei media. L’ex ministro del lavoro Elsa Fornero, l’ex ministro dell’economia Giovanni Tria, il presidente dell’Inps Pasquale Tridico e il giornalista Gad Lerner hanno discusso del volume insieme a Gerardo Canfora e Massimo Squillante, rispettivamente rettore e direttore del dipartimento Demm dell’Università del Sannio di Benevento, che ha ospitato l’iniziativa e di cui l’autore fa parte.
Come nota Giovanni Tria, il libro discusso «va letto con attenzione, perché la scrittura di Brancaccio è molto colta ma anche flamboyant: per seguirla bisogna stare molto attenti perché piena di suggestioni e deviazioni». Ma fiammeggiante non è soltanto lo stile. Osserva Gad Lerner che «minacciosa» è la tesi di fondo del saggio, sintetizzata nel suo titolo. Per Brancaccio, l’evidenza scientifica conferma la famigerata legge marxiana di tendenza verso la centralizzazione del capitale in sempre meno mani. Il controllo dei capitali azionari, in particolare, tende a concentrarsi presso manipoli sempre più ristretti di grandi magnati, e questo fenomeno si accentua al sopraggiungere di ogni crisi, inclusa quella in corso. Secondo l’autore, questa tendenza avrà risvolti non solo economici ma anche sociali e politici. La centralizzazione, infatti, va avanti a colpi di bancarotte dei piccoli capitali in affanno, che vengono liquidati o assorbiti dai grandi capitali: una lotta feroce tra capitali che porta all’espropriazione del piccolo capitalista a opera del grande capitalista. Questo processo conduce a una colossale concentrazione del potere economico, che secondo l’autore conduce inesorabilmente anche a concentrare il potere politico. La centralizzazione capitalistica rischia così di pregiudicare persino gli stessi diritti civili e politici, arrivando a costituire una minaccia per il sistema dei diritti liberaldemocratici. È l’annuncio di una “catastrofe” che solo una “rivoluzione”, per l’appunto, sarebbe in grado di scongiurare. Una rivoluzione che si basi su una «nuova e moderna logica di pianificazione collettiva, intesa come fattore di sviluppo della libera individualità sociale». Questo nucleo di analisi percorre l’intero volume di Brancaccio, attraversando anche i testi dei suoi celebri dibattiti con Olivier Blanchard, Mario Monti e Romano Prodi, raccolti nel libro.
Proprio dai confronti col gotha della politica economica si evince che l’eresia brancacciana risulta supportata dai dati e dalle evidenze, al punto che gli stessi cardinali dell’ortodossia oggi ne riconoscono legittimità scientifica e capacità previsionale. Gerardo Canfora, moderatore del dibattito, rivendica questo felice esito dialettico: «io sono rettore di un piccolo ateneo che ha fatto da sempre della diversità di pensiero, del pluralismo e del confronto, un punto di forza». E Squillante rimarca: «Brancaccio ha avuto il coraggio di essere “eretico”, cioè di portare avanti analisi e previsioni diverse dal mainstream. Oggi non è facile fare questo nell’università. Emiliano questa scommessa l’ha giocata e l’ha vinta. Le sue previsioni sono state corrette e oggi sono oggetto di dibattito, a livello nazionale e internazionale. Dico questo anche con un certo orgoglio, perché Brancaccio lavora nel dipartimento che dirigo e nella nostra Università, che nel libro Giacomo Russo Spena ha definito “vivace”. Una vivacità che è anche nella pluralità degli approcci». Entrambi gli esponenti di Unisannio rilanciano quindi sul tema della centralizzazione, intesa però non solo nelle sue dinamiche di classe ma anche nei suoi effetti geografici. Canfora ricorda che «oggi circa la metà della popolazione italiana è concentrata nell’8% del territorio. Il Sannio è paradigmatico dei fenomeni di spopolamento che si sono verificati nell’ultimo mezzo secolo». Squillante denuncia le responsabilità di una politica che ha assecondato, se non accentuato, queste tendenze. «Se guardiamo gli andamenti di questi anni, c’è da essere pessimisti. Il caso delle riforme dell’università è emblematico di una politica che accentua la forbice tra Nord e Sud. Le stesse modalità di distribuzione delle risorse del Recovery Fund appaiono inique e sbilanciate». Per Canfora è allora «necessario invertire le tendenze alla concentrazione, capitalistica e territoriale, con un diverso modello di sviluppo. A partire da un’ottica equa e inclusiva, anche di accesso alle infrastrutture materiali e immateriali. Altrimenti – come nel libro viene più volte ricordato – questi processi incontrollati rischiano di scatenare una reazione di tipo conservativo, che porta alla diffidenza verso il diverso, ai nazionalismi, alla xenofobia». E proprio nel Sud, aggiunge Squillante, «la reazione sarebbe una vandea».
Elsa Fornero si approssima alle dense tesi del libro con più circospezione, riconoscendo in esse «meno familiarità e meno comprensione» rispetto ai consueti argomenti degli economisti ortodossi. L’ex ministro – già docente di Brancaccio negli anni novanta – riconosce che il testo eretico del suo ex allievo offre «veri spunti per riflettere». Ma avverte disagio verso certe affermazioni del testo reputate “«tranchant», come quella secondo cui «il capitalismo tende strutturalmente alla crisi». Domanda Fornero: «quale altra forma di organizzazione sociale non ha questa tendenza?». Il punto, riconosce l’ex ministro, è che «questo libro ha l’ambizione di cambiare il mondo, di offrire una visione del mondo rivoluzionaria. Io ho ambizioni più modeste, più pragmatiche. Mi accontento di dare un piccolo, infinitesimo contributo al miglioramento di una piccola parte del mondo». E in questo senso si dice «sollevata» dalla lettura del dibattito con l’ex capo economista Fmi Blanchard: che pur avendo riconosciuto il valore del celebre manuale Anti-Blanchard di Brancaccio, ha comunque «riproposto le sue convinzioni in favore del mercato, sia pure con minori certezze rispetto al passato e con una presenza più forte dello Stato». Torna così l’accento di Fornero in difesa del consueto ordine della politica economica, anche con riferimento alla sua esperienza di ministra del governo Monti: «Tu devi fare una riforma del lavoro e la devi fare. Non basta annunciare una rivoluzione, perché intanto qualcosa devi fare nel breve termine per migliorare quel che c’è da migliorare».
Diversa è l’interpretazione di Giovanni Tria, che richiamandosi ai suoi «lunghi anni di studi marxiani» sembra cogliere maggiormente i nuclei del pensiero brancacciano. «Nel libro di Emiliano assumono particolare rilevanza il suo dibattito con Blanchard e le parole di Blanchard sull’esigenza di una “rivoluzione” per scongiurare una catastrofe». Ma qui Tria ricorda l’eccezionalità dei tempi: «Io credo che ora quella rivoluzione sia in atto, almeno nel senso di Blanchard. Basti ricordare che il Fmi raccomanda di continuo di proseguire con le espansioni monetarie e fiscali ancora a lungo. Con questa crisi il mondo sta cambiando e sta entrando in un terreno sconosciuto. Potremo riempire quel terreno con la rivoluzione, o con qualcos’altro». In quest’ottica, dall’approccio di Elsa Fornero, minimalista e da piccoli passi, Tria dissente: «La professoressa Fornero parlava di pragmatismo. Ma se non sarà un pranzo di gala e rischiamo la catastrofe, è chiaro che sarà una catastrofe dell’attuale sistema capitalistico di mercato, di questa economia. Ecco il motivo per cui quella di Brancaccio è una provocazione intellettuale importante», riconosce Tria, perché oggi «ci dobbiamo interrogare su ciò che non funziona del meccanismo di mercato». L’ex ministro ricorda che c’erano squilibri globali già prima della pandemia, «c’era già una carenza di investimenti sul piano globale». E conclude: «Non abbiamo ancora una soluzione. La soluzione sarà la pianificazione collettiva? Non lo so. Ripeto, stiamo entrando in un terreno sconosciuto». Perché quando si parla di pianificazione, conclude Tria, «il problema che nessuno ha mai risolto è: chi pianifica? Pianificazione collettiva significa che utilizziamo le nuove tecnologie per un decentramento degli apparati decisionali? È un mondo di là da venire, o da pensare».
A sostegno delle tesi del libro viene anche Pasquale Tridico: «a differenza di molti opinionisti che hanno tirato la critica dell’attuale sistema dal lato del sovranismo e della xenofobia, Brancaccio si muove agli antipodi di quelle visioni». Per il presidente Inps, il motivo di interesse verso questo volume verte proprio sul fatto che «Brancaccio fornisce elementi per la costruzione di un mondo diverso». Dove la diversità riguarda non solo la disputa tra piano e mercato, ma anche i rapporti internazionali. Decisivo, per Tridico, è il modo in cui Brancaccio dibatte con Prodi reinterpretando il vecchio trilemma di Padoa Schioppa sulla politica economica internazionale: «È a causa di quel trilemma che le politiche monetarie e fiscali in questi anni sono state vincolate e quindi la politica economica si è ridotta a interventi per schiacciare le protezioni del lavoro e i salari».
Spetta a Gad Lerner tirare le fila della discussione. «Quello che invito a fare è di non considerare come una semplice suggestione poetica il richiamo di Brancaccio alla “rivoluzione”. Nessuno di noi si augura ripetizioni di esperienze novecentesche che hanno dato esiti a loro volta piuttosto barbari e catastrofici. Ma qui davvero è difficile immaginare uscite di altro genere. A meno di considerare quella che Brancaccio minacciosamente richiama, su cui avrei voluto che vi soffermaste di più. Perché lui ne parla in termini marxiani, richiamandosi ai processi di centralizzazione dei capitali che si sono verificati. Ma io lo dico in termini molto più empirici: io vedo la crescita dell’influenza di potenze piccole e grandi nelle quali il modello di accumulazione capitalistica è completamente disgiunto dall’idea di un sistema liberale». Da qui Lerner sviluppa una critica al pensiero convenzionale. «Rispetto Fornero e il suo metodo dei piccoli passi, ma io resto un marxista messianico. Persino in un pensatore come Marx, critico verso gli utopisti, penso ci sia stata un’aspettativa di giustizia in terra, di natura oserei dire religiosa». In fondo, Lerner ricorda, nel corso della storia «l’umanità è andata avanti grazie alle scoperte scientifiche e ai grandi movimenti collettivi, questi ultimi mossi dalla fede messianica di generare grandi cambiamenti. Un terreno sdrucciolevole, certo, perché una tale aspettativa di cambiamento può anche creare catastrofi, appunto». Ma che forse sarà anche l’unico terreno possibile per scongiurarle.
A Emiliano Brancaccio l’incarico di chiudere l’intensa discussione. «Il cenno di Lerner all’importanza storica di un’umana aspettativa di cambiamento politico e di giustizia consente di respirare, e di sperare. Ma per sopravvivere da eretico nell’accademia io ho dovuto muovermi in direzione esattamente opposta, allontanando Marx dalla sua componente messianica per rivendicare la sua forza analitica e la sua attualità scientifica». Un esercizio peraltro fecondo proprio sul terreno politico, e che consente a Brancaccio di chiudere con un rilievo per la sua ex professoressa ed ex ministro del lavoro: «Quando Fornero dichiara che la riforma del lavoro si doveva fare, dal punto di vista scientifico non sono d’accordo. L’88% delle pubblicazioni su riviste accademiche internazionali dell’ultimo decennio ha smentito l’idea secondo cui la flessibilità dei contratti di lavoro aumenta l’occupazione». Dalla politica alla scienza e ritorno, il confronto tra ortodossi ed eretici è destinato a intensificarsi.