«Il Ponte» è nato nell’aprile 1945. Ha dunque una vita lunga, anche se tormentata: un tormento di natura economica, perché «Il Ponte» ha sempre vissuto solo dell’apporto degli abbonati. Mai un’associazione politica, una banca hanno sponsorizzato la rivista e solo saltuariamente qualche industria vi ha fatto pubblicità. Il che ha rappresentato l’endemica debolezza della rivista, ma anche la sua forza, e forse è durata nel tempo proprio per la sua indipendenza economica, difficile ma reale.
Sarebbe ingenuo pretendere di delineare in questo tempo lungo una linea costante della rivista che, se fosse rimasta sempre univoca, risulterebbe un fossile. Di fatto «Il Ponte» ha seguito l’evoluzione dei tempi, dandone sempre un’interpretazione sua: partigiana senz’altro, ma mai banale, mai accondiscendente. Tre fasi caratterizzano la vita della rivista: quella di Calamandrei, quella di Enriques Agnoletti e l’attuale.
Del periodo calamandreiano, ci soffermiamo sull’antefatto del «Ponte», indice del clima culturale, politico e sociale in cui la rivista nasce. Tra il ’37 e il ’41 a Pisa, in Normale, Aldo Capitini e Guido Calogero avevano dato vita al liberalsocialismo. Calamandrei vi si avvicina per opera di quei due suoi allievi che nella Resistenza fiorentina avevano avuto una parte di primo piano: Tristano Codignola ed Enzo Enriques Agnoletti.
Calamandrei inizia cosí quel laborioso distacco da Croce, documentato da «Il Ponte» tra il 1945 e il 1956, che matura in un tempo lungo e che è l’inizio di un nuovo modo di sentire politico. Il liberalsocialismo ha significato nel «Ponte» di Calamandrei la battaglia per la Costituente e per la Repubblica, per l’indipendenza della magistratura, per la Corte costituzionale, le «Ragioni di un no» al Patto atlantico. E l’opposizione continua alla Democrazia cristiana, baluardo del conservatorismo e bigottismo politici, senza risparmiare il bigottismo di segno opposto del Partito comunista. Ma c’è anche l’ultima fatica di Calamandrei, lo “speciale” sulla Cina, che testimonia la grande apertura verso i popoli oppressi, oltre che verso una civiltà che merita grande rispetto e considerazione.
La gestione di Enzo Enriques Agnoletti ha coperto lo spazio di trent’anni, dal 1956 al 1986. Dal centrismo al centrosinistra, alla crisi di questo, al craxismo. In politica estera, dalla guerra fredda al kennedismo, alla distensione kruscioviana, alla guerra del Vietnam, alla presa di coscienza politica del Terzo mondo. Enriques Agnoletti ha traghettato in questo periodo difficile «Il Ponte» con grande dignità, intelligenza e creatività. A lui si deve la lunga vita del «Ponte», alla sua grande capacità di rinnovarsi, ma senza lasciarsi andare al trasformismo.
Del suo «Ponte» vogliamo ricordare la lunga battaglia per il Vietnam, quando la rivista, prima in Europa, denunciò l’inciviltà della guerra americana e, unica in Italia, lottò a fondo contro chi, pur «intellettuale di sinistra», sosteneva la supremazia della civiltà occidentale e gli Stati Uniti come il meglio di tale civiltà. «Il Ponte» di Enriques Agnoletti fu dalla parte del Vietnam: la storia non sembra avergli dato torto. E voglio ricordare l’opposizione incondizionata a Craxi, sia come segretario del Psi, sia come presidente del Consiglio, attaccato duramente da Tristano Codignola sul «Ponte» già nel dicembre del 1981, quando Craxi era all’apice del successo.
Era la fine di una lunga militanza nelle file del Psi degli uomini del «Ponte» che avevano intuito, piú di dieci anni prima, che il partito, nella sete di potere, aveva smarrito i valori di giustizia e libertà che sembrava aver raccolto alla nascita della Repubblica. La ricerca di una forma di nuova aggregazione a sinistra fu l’ultima fatica di Enzo Enriques Agnoletti.
Noi ne abbiamo raccolto l’eredità. La caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica, in politica estera; Tangentopoli, la misera dissoluzione del Psi e della Dc, l’ascesa della destra, in politica interna, ripropongono con urgenza una nuova critica dell’economia politica che dia alla sinistra la sua identità, facendola uscire dalle posizioni difensivistiche e quantomeno “incerte” che la contrassegnano fino a tutt’oggi. Già nel febbraio 1993, con il manifesto «Una costituente per la sinistra», proponevamo un’assemblea costituente per dar vita a un partito unico della sinistra laica e socialista, che avesse una pluralità di proposte, articolate sui singoli problemi, ma unitarie nell’ispirazione centrale e nelle linee essenziali.
E tutto questo ripropone i grandi temi degli ultimi dieci anni della rivista. Dalle elaborazioni di Henri Lefebvre sullo Stato, sulla città, sulla vita quotidiana, a quelle di Paolo Sylos Labini sull’inadeguatezza del marxismo, a quelle di Giacomo Becattini sulla democrazia economica e lo sviluppo locale, abbiamo cercato di proporre alla sinistra una via che fosse un tentativo, almeno, di riconquista di quei valori che hanno da sempre animato questa rivista e contribuito alla costruzione della Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Oggi che i tempi sono ancora piú difficili, «Il Ponte» si è dato una nuova struttura editoriale e societaria. Inserendosi all’interno della cooperazione, «Il Ponte» intende additare una risposta efficace al liberismo imperante.