L’8 dicembre in Italia è giorno di festa, ma se chiedete agli italiani cosa si festeggi neppure l’uno per mille sa rispondervi. E a ragione perché la festa è dedicata all’Immacolata Concezione, cioè alla soluzione di un problema teologico di difficile lettura che aveva diviso i teologi fin dal Medioevo e su cui anche il Concilio di Trento aveva lasciato aperta la discussione. Per la precisione, quello dell’Immacolata Concezione è un dogma cattolico definito solennemente l’8 dicembre 1854 con la bolla Ineffabilis Deus da Pio IX, quel Giovanni Maria Mastai Ferretti che dette prova di sé prima condannando a morte i patrioti della Repubblica romana e poi opponendosi in tutto e per tutto alla nascita del Regno d’Italia. Afferma Pio IX che «la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento». Questo per quanto concerne la nascita di Maria, ma se si va alla sua morte, o meglio al termine del corso della sua vita terrena, bisogna rifarsi addirittura a una tradizione del IV secolo, tanto che il presunto avvenimento divenne soggetto di molte opere d’arte: celeberrimo il quadro di Tiziano conservato a Venezia nella chiesa di Frari. Pio XII, cioè il filonazista Eugenio Pacelli, il 1° novembre 1950 nella “costituzione apostolica” Munificentissimus Deus dette corpo religioso a questa tradizione e proclamò «essere dogma di Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo». Resta un mistero, almeno per me, perché questa assunzione si festeggi il 15 agosto, il giorno di Ferragosto, cioè il giorno delle Feriae Augusti (riposo di Augusto), una festività istituita dall’imperatore Augusto nel 18 a. C. Ma la cosa non deve meravigliare più di tanto perché anche la data del natale di Cristo (25 dicembre) è di origine romana, introdotta fra il 243 e il 336, probabilmente per contrapporre una festa cristiana al Natalis solis invicti, stabilito da Aureliano come festa dell’impero romano e celebrata da numerosi cultori di Mithra.
Io non ho i numeri per discutere di teologia e, anche se li avessi, non sarebbe questa la sede adatta per affrontare simili questioni. Non mi resta che affidarmi a Tertulliano e al suo credo quia absurdum o ribadire con Kierkegaard che la fede è un paradosso, uno scandalo.
Comunque, che il Vaticano riproponga i dogmi di Pio IX e di Pio XII, papi “infallibili” quando parlavano ex cathedra e per di più assurti alla gloria degli altari, è più che naturale. Problemi loro, mi verrebbe da dire! Problemi nostri, invece, quando la Madonna, senza macchia e senza peccato, e assunta in cielo con le scarpe ai piedi, dall’Empireo torna a interessarsi delle nostre meschinità. Un esempio per tutti: le sue lacrime a ridosso delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 per scongiurare una possibile vittoria del demonio rosso. Forse, donna semplice qual era, si fidò troppo facilmente di due “marpioni” quali Pio XII e Luigi Gedda e a sua insaputa finì per portare acqua al loro mulino.
Ma oggi che la Democrazia cristiana è un vago ricordo anche per chi ha pochi capelli in testa, la Repubblica italiana nata dalla Resistenza può ancora celebrare con una festa nazionale – cioè relativa a una repubblica democratica fondata sul lavoro – la nascita e la dipartita di una figura – reale o simbolica non importa – tutta calata nelle questioni teologiche? Non sarebbe più consono alla nostra storia nazionale ricordare il 10 giugno Giacomo Matteotti e il 9 giugno i fratelli Rosselli e lasciare allo Stato della Città del Vaticano, in quanto di sua competenza, le celebrazioni della nascita e della morte della Madonna?