Russiadi Albert Ivanovič Kravčenko

(Traduzione dall’inglese di Patrizia Bernardini)

Lo sviluppo storico della Russia si differenzia da quello occidentale fondamentalmente per la sua non linearità. Con questo termine intendiamo una graduale ascesa dal livello minimo a quello massimo, mentre viene mantenuta la direzione prescelta. Per quanto riguarda la sua economia, la cultura e il modo di pensare della popolazione, la Russia è un paese né capitalista né socialista, ma questo concetto può essere formulato anche diversamente: la Russia è, per l’esattezza, un paese capitalista e socialista in quanto entrambi gli aspetti vi sono presenti, ma nascosti, e si alternano nel corso del tempo: la società russa è talvolta di mercato e talvolta non di mercato. Lo sviluppo millenario del paese oscilla infatti tra due estremi: mercato e non mercato, valori collettivisti e individualisti, orientamenti provenienti storicamente ora dall’Europa occidentale, ora dall’Eurasia.

Nel corso dell’ultimo secolo la Russia ha fatto tre tentativi per introdurre il capitalismo: 1) nel periodo pre-rivoluzione (dal 1861 al 1917); 2) nel periodo post-rivoluzione (dal 1921 al 1929-34); 3) nel periodo post-sovietico (dal 1989 a oggi). Non è possibile considerare questi tentativi come stadi di uno stesso sviluppo, come anelli di un’unica catena, e vedremo perché.

Se prendiamo in esame gli stadi di sviluppo di una società, dobbiamo considerare le seguenti caratteristiche imprescindibili: a) vi deve essere una continuità temporale tra le diverse fasi dello stesso processo. Ogni fase, cioè, continua a evolversi a partire dal punto in cui si è fermata quella precedente, oppure affronta i problemi non risolti da quella; b) tutte le fasi di uno stesso processo, perché vi siano segnali di sviluppo, devono avere un orientamento lineare verso l’alto (oppure, in determinate situazioni, ciclico). In altre parole, lo sviluppo sociale deve potersi definire un progresso, cioè un’ascesa graduale dagli stadi inferiori a quelli superiori; c) tra i vari stadi del processo di sviluppo deve essere preservata la continuità generazionale di chi mantiene le tradizioni e le norme. Ciò significa che se ci sono state più generazioni tra due fasi consecutive e si è interrotto il processo generazionale che trasmette le conoscenze accumulatesi, le esperienze e le tradizioni sociali, allora non possiamo parlare di fasi di uno stesso processo.

Da questo punto di vista, i tre tentativi di introdurre il capitalismo in Russia non hanno soddisfatto nessuno dei tre criteri. Non si può affermare infatti che il capitalismo della Nep abbia risolto i problemi o sia stato conseguente al capitalismo post-servitù della gleba, o che il capitalismo post-sovietico sia stato una conseguenza logica della Nep. In altre parole, non vi è continuità logica tra i tre capitalismi e non vi è nessuno sviluppo lineare. Il capitalismo post-rivoluzione non rappresenta uno stadio di sviluppo superiore rispetto a quello di prima della rivoluzione. Allo stesso modo il capitalismo post-sovietico non ha portato il paese verso i valori di un mercato “civilizzato”, addirittura lo ha piuttosto allontanato.

Infine, i tre tentativi non hanno mantenuto una linea di continuità generazionale. Nel 1917 l’alta e media borghesia, sia cittadina sia delle campagne, è stata distrutta, repressa o deportata. Quello che ne restava sotto la Nep non apparteneva all’élite intellettuale, che, con la sua creatività, sarebbe stata in grado di avviare il paese verso il capitalismo.

Ogni tentativo di costruire il capitalismo in Russia si è scontrato col persistere nella popolazione di una mentalità, di un sistema di valori e di una percezione del mondo caratteristici di una società pre-industriale. L’orientarsi verso il collettivismo invece che verso l’individualismo è stato affiancato dal rifiuto dell’istituzione della proprietà privata. La mentalità della maggioranza della popolazione è sempre rimasta contraria al mercato, tanto che gli operatori di mercato hanno rappresentato una parte insignificante dell’intelligentsia colta, che, nella fase del capitalismo selvaggio, si era illusa di arricchirsi.

A differenza dei primi due periodi, nello stadio attuale sono stati fatti dei progressi. Innanzitutto il livello di alfabetizzazione della popolazione è notevolmente migliorato, sono aumentati gli intellettuali e gli studiosi interessati ai modelli più avanzati dell’economia. I vecchi ceti sociali conservatori sono stati rimpiazzati molto più rapidamente da nuove generazioni di giovani progressisti sempre più attenti ai valori del mercato. Così la società russa assiste a un nuovo tipo di conflitto tra padri e figli: i primi più orientati verso il socialismo, i secondi verso il capitalismo.

Ogni tentativo di costruire il capitalismo ha sempre attraversato un periodo di accumulazione iniziale – quasi un “latrocinio” – che si è accompagnato a un veloce arricchimento di una piccola parte della popolazione (1-3%) e all’impoverimento del resto, all’aumento della criminalità, all’economia sommersa, all’indebolimento del monopolio statale, all’incapacità di controllare con la legge la violenza. La conseguenza di quest’ultimo aspetto è stato spesso un ulteriore “giro di vite”, inevitabile dopo la bancarotta politica di uno Stato divenuto debole.

Tutti i tentativi di introdurre il capitalismo hanno determinato un deterioramento delle condizioni materiali della popolazione. La manodopera è sempre rimasta a basso costo e questo non ha permesso che il capitalismo evolvesse verso una fase di maggiore civiltà. Oltretutto la manodopera a basso costo si accompagna, tra le altre cose, alla mancata nascita di una forza lavoro di operai specializzati e di un sistema avanzato di garanzie legali riguardo all’occupazione. Di conseguenza nessuno dei tentativi di introdurre il capitalismo, prima che questo avvenisse per ragioni storiche, ha portato alla creazione di una forte classe media, orientata al mercato.

Per un millennio la Russia riguardo al problema della divisione del lavoro non ha avuto alcun cambiamento qualitativo: a giudicare dalle esportazioni, è rimasta una fonte secondaria di materie prime per l’Occidente e non ha mai esportato alta tecnologia. Ogni tentativo di introdurre il capitalismo ha comportato perciò grossi prestiti dall’estero, il deficit del bilancio statale, la mancanza di investimenti all’interno e lo sfruttamento predatorio delle risorse naturali del paese.

Nel corso degli ultimi duecento anni la Russia si è sviluppata come un pendolo, oscillando da un estremo all’altro: da una società non di mercato a una società di mercato. Ma questo movimento a pendolo è stato in realtà a spirale: a ogni oscillazione la società diventava sempre più civile e l’ampiezza delle fluttuazioni si riduceva.

Va osservato che la transizione da un sistema a un altro – transizione al capitalismo o al socialismo – è avvenuta in un momento di recessione economica e di crisi politica. La Russia era un paese alla disperazione che aspirava a un nuovo sistema, e, come aspettando un miracolo, cercava la luce della salvezza in fondo al tunnel. Niente di tutto ciò avviene in un paese normale. Le transizioni tra i sistemi avvengono all’insaputa dei soggetti coinvolti attraverso un graduale cambiamento delle tradizioni, del modo di vita, delle motivazioni e degli stereotipi di comportamento.

C’è un altro aspetto delle trasformazioni che hanno avuto luogo in Russia: la transizione dal feudalesimo e dal socialismo al capitalismo si è sempre svolta pacificamente e non ha richiesto sacrifici umani, mentre quella dal capitalismo al socialismo ha comportato l’annientamento di milioni di persone, la pulizia etnica, i campi di lavoro, il lavoro forzato, insomma sacrifici immani di tutte le componenti del paese.

Se si paragonano i mutamenti avvenuti prima verso il capitalismo e poi all’inverso, troviamo altre tendenze. In particolare, ogni tentativo di costruire il capitalismo e il socialismo in Russia è venuto “dall’alto”, tramite la politica, non tramite la cultura. E questo è il modo in cui si manifesta una modernizzazione inorganica. Un altro aspetto: ogni tentativo di transizione al capitalismo è avvenuto con il predominio di un’economia statale, non di un’economia privata. Ogni volta – da Pietro I a Yeltsin a Putin – il paese ha avuto bisogno di un potente complesso militare-industriale, che è stato creato dall’alto, con la forza e col denaro pubblico, in base a nomine statali e che gradualmente ha formato una potente nomenclatura, sconosciuta in altri paesi. Questo è il male e il bene della Russia, il perno grazie al quale l’oscillazione del pendolo non è stata troppo ampia. Grazie a essa e, soprattutto, alla sua ultima generazione, la transizione dal socialismo al capitalismo non si è trasformata in una sanguinosa guerra civile. La nomenclatura ha sopportato il peso del feudalesimo, di tre capitalismi e di non si sa quanti altri socialismi. È stata la nomenclatura, non la classe media, il fattore di stabilizzazione dello sviluppo sociale.

I funzionari statali non devono essere necessariamente interessati alla creazione di un capitalismo “dal volto umano”, poiché non vi hanno alcun ruolo. Dal capitalismo essi prendono innanzitutto i suoi aspetti negativi, cioè i modi astuti di arricchirsi. Abuso delle posizioni ufficiali, sovrapposizione – nascosta o aperta – degli incarichi statali a quelli del mercato rappresentano un corollario imprescindibile della variante amministrativa della costruzione del capitalismo. I funzionari diventano imprenditori burocrati. La trasformazione di un funzionario in uomo d’affari è per noi l’opzione migliore. Se essi sono interessati a un capitalismo di questo tipo, in cui trovano un “comodo posticino”, le riforme possono aver luogo più rapidamente. Dopo tutto, nel caso di una modernizzazione inorganica, la trasformazione della società avviene “dall’alto”.

In Russia ogni tentativo di costruire il capitalismo ha avuto luogo attraverso il protezionismo doganale, l’indebolimento della competizione esterna e il deterioramento della qualità della produzione, e sempre sullo sfondo di una violenta lotta ideologica tra i due schieramenti dell’élite politica ed economica. La lotta tra filoccidentali e slavofili è solo una copertura intellettuale di quella lotta portata avanti continuamente dai diversi gruppi della burocrazia: una parte ottiene i massimi benefici conservando la vecchia struttura sociale, l’altra attraverso il trapasso a una società nuova. La questione non si limita alle idee o alle scuole di pensiero, ma è collegata al denaro e al potere.

Una parte della burocrazia è rivolta ai valori e ai modelli occidentali, l’altra ai valori patriottici erroneamente intesi. La competizione tra filoccidentali e slavofili, che è cominciata perfino prima del periodo iniziale della costruzione del capitalismo, è proseguita in tutti i tentativi successivi e non è ancora cessata. Con alternanti successi, ognuna delle due parti ha costretto la politica economica dello Stato a fluttuare, l’ha portata all’estremo e infine ha rovinato la stessa élite politica nel suo insieme.

Nel modello di capitalismo russo capita che, per raggiungere un livello più alto, ci si debba rivolgere al socialismo, e che, per avanzare nel cammino del socialismo, si guardi al capitalismo. È una dialettica tutta particolare: il capitalismo, avanzando, rinnega il socialismo come il suo contrario, e il socialismo ha un bisogno disperato di rinnegare il capitalismo prima di fare un salto in avanti. I due opposti, come due fratelli gemelli, non possono fare a meno l’uno dell’altro ed è improbabile che lo facciano, visto che alle loro spalle non agisce il capriccio del destino ma una profonda logica storica. Così si esprimono collettivismo e individualismo, le due parti fondamentali della mentalità nazionale. Non possiamo sradicarle dalla nostra natura.

È stato proficuo per il capitalismo mostrare i suoi lati sgradevoli (obbligatori nella fase di accumulazione iniziale), visto che siamo tutti presi dalla nostalgia per il passato. M. Tugan-Baranovskij, che ha analizzato la genesi del capitalismo nazionale, ha proposto non di fermarsi al primo stadio ma di andare oltre, verso quella fase più matura, in cui si manifesteranno gli aspetti positivi del capitalismo. Ogni volta però la Russia si è bloccata e prima di fare il passo decisivo si è ritirata. Di conseguenza conosciamo solo la fase negativa dei tre capitalismi: l’accumulazione iniziale. Avremo il coraggio questa volta di fare un passo in avanti? Rafforzare il potere di Putin potrebbe indicare l’inizio di una svolta. E forse andare verso una società di mercato, passando per la restaurazione delle istituzioni non di mercato, è il modo in cui si può esprimere il modello russo.