Rileggere Piero Calamandrei è sempre edificante. La ripubblicazione, in apertura dell’ultimo fascicolo del «Ponte» (n. 3, maggio-giugno 2018) dell’ultimo articolo da lui scritto, Questa nostra Repubblica – introdotto da una ficcante nota di Marcello Rossi – spinge a riflettere sul valore fondante della Costituzione e sulla natura della Repubblica parlamentare.
Il ragionamento che sviluppa Calamandrei sulle tipicità della Costituzione – rigida e programmatica – non risente dell’usura del tempo perché, se così fosse, anche la Costituzione risulterebbe inadeguata; tuttavia, viste le condizioni del paese, non si registra una cognizione precisa del dettato costituzionale. Basti pensare che c’è chi ritiene – come Giorgia Meloni – che si debba permettere alla polizia l’uso della tortura; che il ministro degli Interni ordini quanto è di spettanza della giurisdizione; che un sottosegretario alla Giustizia intervenga in Aula tacciando di «rilievo penale» le critiche delle opposizioni, ignorando che la Costituzione recita che «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Di controcanto, il suo pari grado leghista al ministero, si è augurato la scomparsa delle «correnti di sinistra» tra i magistrati. Potremmo continuare. Tali affermazioni non possono che inquietare, ponendosi fuori e contro lo Stato di diritto che la Costituzione garantisce.
Le considerazioni, poi, che Calamandrei svolge sul significato programmatico della Costituzione ci dicono quale dovrebbe essere il senso della nostra democrazia: accendono, cioè, l’attenzione sul problema della “qualità della democrazia”. Un tema che troviamo sollevato, nello stesso fascicolo, anche da Lanfranco Binni. È superfluo stare a ripetere che la qualità, a voler essere generosi, è assai bassa poiché dipende dalle politiche democratiche messe in essere. Magari esse andassero nella direzione programmatica che la Costituzione ci indica! Ma ne siamo da tempo ben lontani poiché la qualità della democrazia dipende dalla qualità della politica e dal convincimento che la democrazia non è solo una procedura, ma un concetto che racchiude una imprescindibile nozione sociale.
La Costituzione ci dice che si può andare molto avanti. In effetti essa ha sempre accompagnato i sostanziali avanzamenti sociali e civili che nella nostra storia repubblicana ci sono stati. La Costituzione non ha mai rappresentato, in tal senso, un ostacolo. Viene, perciò, da domandarsi come si possa pensare che senza una ripresa della politica, senza, cioè, dei veri partiti politici che sono i soggetti della democrazia nella società, si possa conferire qualità alla nostra democrazia. Se così non è, il programma della Costituzione resta solo flatus vocis. Ma l’attuale classe politica ha una qualche conoscenza o cognizione del canone costituzionale? Sinceramente, c’è da dubitarne.
Dunque la nostra Repubblica ha una Costituzione disattesa. Inoltre, la formazione del governo ci ha creato una qualche perplessità. Si può concordare con Marcello Rossi sull’improprietà costituzionale di un “governo del presidente”, ma la definizione è più politico-giornalistica che espressione della possibilità del presidente della Repubblica di imporre un proprio governo.
Il Quirinale non ha questo potere. Al presidente spetta affidare l’incarico – è una sua inalienabile prerogativa – ma se l’incaricato, e il suo governo, non riscuotono la fiducia del Parlamento non entrano in carica; se la ricevono non è il governo del presidente a insediarsi, ma quello approvato dal Parlamento.
Caso mai, ci sarebbe da discutere sul fatto che l’incarico venga dato sapendo preventivamente che non c’è possibilità alcuna di incassare la fiducia e, quindi, il governo battuto diviene solo l’organizzatore di una nuova chiamata alle urne. Però, anche qui: se l’unica maggioranza che appariva possibile non riusciva a costituirsi – e ci siamo andati vicini – cosa altro avrebbe dovuto fare Sergio Mattarella? Qualche sbavatura costituzionale ci sembra esserci stata poiché l’incarico a Giuseppe Conte è stato dato dopo che le due parti avevano stipulato il loro contratto, contrariamente a quanto la prassi costituzionale indica. Il presidente del Consiglio è spuntato solo dopo la stipula del contratto tra la Lega e il M5S.
La Repubblica parlamentare è una garanzia fondamentale rispetto alle tante fragilità del paese. Allo stato dei fatti, e non certo per responsabilità del presidente della Repubblica, l’attuale maggioranza appare abbastanza lontana dall’esserne consapevole.