di Aldo Garzia
Che brutta campagna elettorale dalle parti della sinistra, in tutte le sue componenti. Il grido di dolore lo lancia Emanuele Macaluso, novantenne “comunista migliorista”, che usa Facebook: “Ho ascoltato Pietro Grasso su Radio Radicale dire in un comizio a Palermo ‘la sinistra siamo solo noi’. Quindi in Italia la sinistra sarebbe al 6, 7 per cento? Tutti quelli che, nonostante Renzi, sono nel Pd sono di destra?”. L’ex direttore de “l’Unità” aggiunge: “Il rifiuto di Liberi e uguali di indicare come prospettiva un’alleanza di centrosinistra con una sinistra più forte è, a mio avviso, demenziale”. La lista Potere al popolo rincara la dose con un manifesto elettorale: “Liberi e uguali? È la destra trasformista”. Argomenta in una conferenza stampa Viola Garofalo, portavoce di questa sinistra della sinistra: “Il Movimento 5 Stelle è populista e non è di sinistra. Liberi e Uguali, invece, è un Pd 2.0: non c’è differenza, vengono tutti dal partito di Renzi e lì vogliono tornare”. Renzi e ciò che resta del Pd, a loro volta, non perdono l’occasione per ribattere: “Chi vota Liberi e uguali fa un piacere alla Lega e a Forza Italia”.
Certo, siamo in campagna elettorale dove tutto è permesso per prendere un voto in più. Ma questi toni, accompagnati da povertà di analisi e di proposte, non fanno ben sperare per il futuro. Le “due sinistre” – quella di origine storica e socialdemocratica, quella radicale dell’ultimo ventennio – sono dunque destinate all’assoluta incomunicabilità, come se recitassero in un film anni sessanta di Michelangelo Antonioni?
Come si legge nell’utile libro La sinistra radicale in Europa di Marco Damiani (editore Donzelli), il problema è europeo: o le due sinistre tornano a contaminarsi e a cambiare entrambe o sarà assai difficile fare massa critica di fronte alla nuova destra sovranista e xenofoba che avanza a passi da tigre in tutto il vecchio continente. Il saggio di Damiani è una ricerca comparata su Spagna, Francia, Germania, Italia che ci fa conoscere – attraverso testimonianze delle leadership ed efficace documentazione – i protagonisti dell’arcipelago delle nuove forze cresciute in Europa dopo il fatidico 1989 e l’avvio del declino delle socialdemocrazie europee. Damiani ne mette in luce innanzitutto le diversità con le nuove sinistre neocomuniste postsessantottine degli anni sessanta e settanta per giungere all’inaspettata conclusione che non si tratta di forze anti-sistema (“hanno una logica pro-sistema pur continuando a svolgere una robusta opposizione alle politiche neoliberiste”).
In Germania, Spagna, Francia, Italia il rompicapo però è che una sola sinistra – di origine socialdemocratica o più recentemente nata dalla crisi di quella stessa sinistra e dai nuovi movimenti – da sola non è sufficiente. A Madrid e Barcellona infatti già governano insieme Podemos e Psoe. Qui da noi vanno molto di moda i riferimenti entusiastici a Jeremy Corbyn (Liberi e uguali ne ha copiato lo slogan elettorale non minoritario “Per i tanti. Non per i pochi”) e a Bernie Sanders. Del primo si apprezza l’aver arrestato in Gran Bretagna il rischio estinzione del Labour accompagnato dal voltar pagina con il blairismo, il secondo viene dipinto come colui che avrebbe potuto fermare Donald Trump grazie al voto dei giovani e all’estraneità alle potenti lobbies che invece erano l’ombra di Hillary Clinton.
Se tuttavia a sinistra della sinistra ci si libera dalle teorie che ritornano su “tradimento” e “socialfascismo” oltre all’illusione che delle due sinistre ne basti una, si comprende meglio che il panorama auspicabile è quello di una sinistra plurale. Nuove e vecchie sinistre sono infatti destinate a gareggiare e a convivere in un rapporto di distinzione organizzativa e di competizione politica. Senza le une e senza le altre (o peggio, con le une contro le altre) il tema del “governo” resterà una chimera come del resto pure quello di una opposizione efficace. In Germania – Spd, Linke, Verdi – e in Spagna – Podemos, Psoe – ci sono già maggioranze potenziali. La Francia di Macron fa rebus a parte (Mélenchon è venuto a dare una mano a Potere al popolo). Qualcosa di nuovo si muove pure nella tedesca Spd, nonostante la scelta confermata di grande coalizione con Angela Merkel. In fermento sono tutte le sinistre radicali europee, compresa quella di Tsipras.
Giusto quindi l’interrogativo finale del libro di Damiani: “E’ possibile immaginare nelle principali democrazie europee un’opzione di governo che porti alla convergenza dei partiti riformisti e dei partiti della nuova sinistra in un unico progetto politico?”. Per rispondere non basta rifarsi all’ottimismo della volontà. La prolungata crisi economica ha reso impotenti le tradizionali bandiere socialdemocratiche di piena occupazione e ridistribuzione dei redditi. Il crollo del “socialismo reale” non è valso come antidoto. Il blairismo neoliberista come risposta si è rivelato un bluff. E, tornando all’Italia, il “renzismo” non ha aperto spazi autostradali alla sua sinistra: il problema è più complicato (Liberi e uguali potrebbe ottenere nelle elezioni del 4 marzo meno di Rifondazione comunista nel 1996, quando quest’ultima toccò l’8,5 per cento).
Verrebbe da chiedersi in conclusione: senza Renzi o con Renzi, qual è il destino delle due sinistre europee e italiane?