Egregio Sig. Sindaco di Firenze,
da alcune sere dalla mia finestra vedo la torre di Palazzo Vecchio illuminata con luci rosse, gialle, verdi, blu più adatte a un albero di Natale che non a un’opera d’arte qual è la Torre di Arnolfo, che, dopo varie vicissitudini, che sarebbe lungo ricordare in questa sede, giunse a compimento intorno al 1320. Ho saputo poi che altri monumenti della città sono illuminati in egual modo.
Mi ero già reso conto che sotto la Sua amministrazione Firenze si stava trasformando in una novella Disneyland. Alludo all’uso di Ponte Vecchio e del Salone dei Cinquecento per operazioni di business; ai “canotti” appesi alle finestre di Palazzo Strozzi che non sono riuscito a comprendere che cosa avessero di artistico; alla rottura dell’armonia di Piazza della Signoria occupata da sculture che mal si legano con un’architettura tre-quattrocentesca. Ora con questa oscena illuminazione della Torre si è passato ogni limite. Avrebbe Lei messo delle luci variamente colorate intorno alla Primavera di Botticelli o intorno al David di Michelangiolo? E allora perché trattare in altro modo la Torre di Arnolfo?
Lei, signor Sindaco, è stato eletto dai fiorentini per conservare al meglio una città d’arte che insieme a Venezia, Roma e Napoli è uno degli esempi più belli della civiltà occidentale e non per offenderla con opere da baraccone.
Non voglio affondare oltre il coltello nella piaga, ma voglio sperare che, dando prova di un minimo di sensibilità estetica, Lei voglia far spegnere quelle luci oscene.
Le posso garantire che anche nella penombra della sera la Torre di Arnolfo mantiene, senza artifici volgari, il suo fascino.
Marcello Rossi, direttore del «Ponte»