di Mario Monforte
Questo il titolo dell’appassionante libro di Gorge Orwell, scritto nel 1938 (compare in italiano nel 1948), steso a partire dalla sua partecipazione alla guerra civile anti-franchista-falangista, e fascista e nazista, in Spagna (fino a subire la ferita per cui deve lasciare il paese), dove loda l’abnegazione dei resistenti, catalani in primo luogo, contro il golpe di Franco, pur nel disincanto rispetto alle forze politiche staliniste, ambigue e conservatrici a costo di far fallire la lotta anti-franchista (com’è infatti accaduto), e pur nella constatazione del confusionismo (politico e militare) delle forze politiche piú coerenti. E di nuovo, ancora oggi, benché nella rilevabile confusione delle mosse dei catalani, va ben posto in primo piano ciò che avviene in Catalogna.
La marcia verso la dichiarazione di auto-costituzione della Repubblica catalana si basa su un passato ben consolidato, né la subordinazione è antichissima (la completa sottomissione alla Castiglia risale al 1714), e la volontà di piena autonomia della nazione catalana è un “filo” costante della storia catalana: si leva dalla fine dell’Ottocento agli anni venti del Novecento, viene schiacciata dalla sconfitta, nonostante l’eroica resistenza, nella guerra anti-franchista del 1936-39, continua a scorrere pur sotto il peso della Spagna franchista, riprende con la fine del franchismo e si estende sempre piú nel paese, alimentata dall’avere ricevuto, prima, un’autonomia insufficiente, e, poi, dalla sua sostanziale riduzione e negazione. Una volontà di esistenza autonoma come catalani, che va al di là del fatto che la Catalogna produce il 19% del Pil ispanico, e giunge al referendum del primo ottobre 2017. E la marcia verso l’indipendenza della Catalogna è rivelatrice e dirimente.
Rivelatrice. E vediamo la pochezza italica: i media hanno fatto vedere la repressione spagnola per impedire il referendum (quasi 900 feriti) e le manifestazioni dei catalani, ma hanno evidenziato l’«incostituzionalità» del referendum stesso, accreditando quanto ne ha detto il governo centrale spagnolo, e fatto rilevare come, pur con il 90% dei «sí» all’indipendenza, vi sia stato “solo” il 42% e rotti dei votanti (certo, con piú di 10.000 poliziotti scatenati!), ponendosi in una finta “equidistanza”, che ha appena coperto il reale sostegno al governo Rajoy. E tutte le forze politiche, da FI, che del resto fa parte dello stesso Ppe in cui sta il partito di Rajoy, alle restanti, si sono sostanzialmente dichiarate contro la Catalogna (seguendo la falsariga à la Ue di “deprecare la violenza”, però …), o, al massimo, sono rimaste in sostanziale silenzio nell’occasione la Meloni per Fd’I ha mostrato quanto sia sottile la sua vernice “democratica” (o, piú esattamente, liberale), che si è subito scrostata, rivelandola come fascistina (schierata per lo Stato centralistico, autoritario e dirigistico, con un discorso peraltro insensato: “salvaguardare l’integrità della nazione”, e proprio ciò dovrebbe portare a sostenere la nazione catalana). Sola rilevante e lodevole eccezione il M5S e la Lega. Il che la dice lunga, un’ennesima volta, su come considerare il “grosso” delle altre forze politiche e media connessi.
Ancora e di piú: l’Ue, pur invocata come «mediatrice», essendo un organismo sovrastatuale (funzionale alla fase del capitalismo detta «globalizzazione») che supporta le oligarchie (politiche, economiche, sociali, culturali, mediatiche) dei vari Stati e comanda con esse sui paesi europei, abbisogna di Stati unitari funzionali al proprio servizio, e quindi, dopo la retorica tanto scontata quanto vacua sul duro intervento della polizia castigliana contro il referendum (“con la violenza non si ottiene niente”, il che del resto è anche falso, perché, esempio specifico, il referendum catalano ne è pur stato “azzoppato”, anche se proprio questo intervento è stato infine controproducente), ne ha assunto l’“incostituzionalità” e dunque la “non-democrazia”, addotte dal governo spagnolo del bieco Rajoy e ribadita dall’indecente discorso del re Felipe VI di Borbone (lo Stato spagnolo è un Regno, restaurato da Franco post mortem). Il che rivela come la “democrazia” sia solo la maschera del “sistema” dell’Ue e dei regimi oligarchici liberali, concepita come massa di leggi costituite, che, ovviamente, statuiscono lo Stato centrale esistente, perciò la fuoriuscita non è costituzionale: ma la democrazia è fatta dalle leggi? No, dall’espressione diretta della volontà del popolo, che il regime liberale ostacola, blocca, nega. E anche qui l’Ue, che è contro la Catalogna e “si arrocca” con il Regno di Spagna, dà un’altra ulteriore dimostrazione di ciò che è: Unione anti-europea (con Nato sottesa, che ne è alla base), sfruttatrice e nemica dei popoli e paesi dell’Europa, a favore di se stessa, degli Stati piú forti (con quello tedesco in prima fila e quello francese che vi zoppica dietro) e delle oligarchie europee.
Dirimente. È un dato di fatto come la coraggiosa lotta dei catalani sia stata, e resti, isolata: è venuto un appoggio solo dei Paesi baschi, che vi puntano per richiedere a loro volta maggiore autonomia; la Galizia è a favore ma se ne sta a vedere; questo vale anche per altre regioni europee volte all’indipendenza o a una forte autonomia; il sostegno degli indipendentisti sardi e corsi è del tutto minoritario; nelle manifestazioni a Barcellona si è vista qualche bandiera della Liga veneta. Insomma, la battaglia della Catalogna è lasciata a se stessa (una storia che, in qualche misura, pare quasi ripetersi: cosí è stato per il complesso della guerra civile ispanica del 1936-39, e in particolare per la Catalogna, il solo apporto fu quello dei volontari delle brigate estere, nella «non ingerenza» delle potenze occidentali e con qualche sostegno “peloso” dell’Urss, davanti al massiccio intervento accanto a Franco della Germania nazista e dell’Italia fascista). E i catalani devono contare su proprie forze, coraggio e decisione.
Ma c’è da mettere in evidenza un dato politico di primaria importanza: il fronte per la costituzione della Repubblica catalana indipendente ha oltrepassato le divisioni politiche, andando dalla destra alla sinistra, anche piú «estrema». È un buon esempio di ciò che “funziona”, di ciò che sarebbe possibile anche altrove, su obiettivi fondamentali e fondanti: ossia il fronte democratico di liberazione nazionale.
E c’è di piú, molto di piú. La battaglia della Catalogna apre all’emersione delle altre realtà in Europa, volte ad affermare l’indipendenza o comunque la forte autonomia rispetto agli Stati centrali e accentrati: il che non è già la democrazia (la quale non è affatto l’elezione da parte dei tantissimi dei pochi delegati alla gestione del potere, sotto la mole di leggi, leggine, norme e steccati: questi sono solo il principio oligarchico e la sua attuazione, mistificati come “democrazia”), ma vi apre maggiori spinte, potenzialità e possibilità, verso un contesto europeo del tutto “altro”, fatto di confederazioni di realtà autonome e autogovernate. E infatti procede dall’unico strumento democratico ora esistente, il referendum, che è tale perché sottopone un diretto quesito direttamente a tutto un popolo. E l’indipendenza, a cui comunque si avvia la Catalogna, situerà la Repubblica catalana fuori dall’Ue (e quindi dal disastrante euro, dunque dal “complesso” Ue-Nato), aprendo ancor piú la stura al dissesto (già in corso) verso il tracollo (che è necessario ai popoli e paesi d’Europa) dell’Ue stessa. E dunque, di nuovo ancora una volta, pieno, sentito e profondo omaggio alla Catalogna.