Madurodi Rino Genovese

Fa male parlarne, e tuttavia per questo bisogna parlarne. Quello che sta accadendo in Venezuela non è che l’ultima prova del fatto che un socialismo latinoamericano di tipo caudillista ha fatto il suo tempo, è diventato il contrario di quello che sarebbe dovuto essere finanche in quei paesi che lo hanno visto sorgere. Maduro avrebbe fatto meglio a dimettersi e a convocare elezioni anticipate: così fa un presidente che ha perso la maggioranza nell’assemblea legislativa, che si trova dinanzi a una disastrosa crisi economica, con le merci di prima necessità che scarseggiano e le proteste di piazza guidate da un’opposizione che sarà pure di centro-destra o reazionaria, ma finisce con l’avere ragione quando dall’altro lato manca qualsiasi proposta che non sia quella del “teniamo duro!”.

L’ultima trovata del caudillo venezuelano è stata quella dell’assemblea costituente: domenica 30 luglio si sono tenute le elezioni in un clima da guerra civile, con un sistema elettorale quanto meno preoccupante, e poco importa che otto milioni di elettori si siano recati, nonostante tutto, a votare. L’enorme diversivo escogitato da Maduro è stato contestato anche all’interno del suo stesso campo, e pour cause: una riforma della costituzione su basi “bolivariane” c’era già stata, non si sentiva affatto il bisogno di modificare la carta fondamentale disegnata da Hugo Chávez.

Questi, peraltro già militare golpista, fu il caudillo fundador; Nicolas Maduro, che non ha saputo ereditarne il carisma, è l’uomo della conclamata incapacità di un socialismo di tipo caudillista a trasformarsi in un socialismo democratico. Una storia novecentesca che purtroppo già conosciamo, e che ha funestato i destini di Cuba. Ciò significa che bisogna cedere all’ “imperialismo yankee“? No. Ciò vuol dire che bisogna avere una linea politica duttile, che preveda la possibilità di andare eventualmente all’opposizione, oppure quella di proporre una tregua – come la situazione economica del Venezuela richiederebbe, dopo il drastico ridimensionamento del prezzo internazionale del petrolio di cui il paese è produttore – mediante un governo di cosiddetta unità nazionale. Che senso ha logorarsi a poco a poco? Oppure ci si prepara così alla finale resa dei conti in un bagno di sangue?

La questione delle conquiste sociali (e non c’è dubbio che, in questo senso, qualcosa di buono è stato realizzato dal regime chavista), del loro mantenimento, avrebbe dovuto essere oggetto di una trattativa tra governo e opposizione. Un’assemblea costituente di un unico colore non è certo la sede adatta a promuovere un negoziato del genere. La “rivoluzione bolivariana”, un episodio nella tortuosa storia di un continente troppo spesso venata di spirito bonapartista-plebiscitario (non va dimenticato che lo stesso Simón Bolívar, l’eroe eponimo, si considerava un allievo di Napoleone), a questo punto è soltanto un ricordo del passato. Da tempo è iniziata la sua fine.