Con un balzo all’indietro di oltre due millenni, Giorgio Colli ha fatto riemergere nella nostra contemporaneità la sapienza antica depurata dai suoi travisamenti storiografici antichi e moderni. La sapienza greca torna a riproporsi e a confrontarsi con la miseria speculativa del nostro presente.
Nei vari capitoli di questo testo risuona un avvertimento: la conoscenza è un rischio mortale perché la vita è dolore e di fronte al dolore non c’è consolazione che tenga. La nostra vita, nella sua tragica instabilità che appartiene al mondo dell’espressione, è dolore ineludibile che solo la cultura può temperare. La sapienza ci offre questo rimedio, questa cura. Solo con la comprensione della terribilità della vita, con il suo riconoscimento, la cultura ci può sottrarre a questo destino di sofferenza. Ma Colli non si stanca mai di sottolineare come tale conoscenza debba essere custodita nell’intimità più riposta di ciascuno di noi. Così, ci ricorda, una volta conseguita, deve essere nascosta di nuovo, perché non può essere detta né espressa in parole, e quindi il suo svelamento coincide con il suo occultamento: un nuovo paradosso, tanto che, si potrebbe dire, che mettere a nudo la verità significa nasconderla. Il paradosso rimane. Il suo sussistere è il suo scioglimento, e il suo scioglimento è il suo sussistere. La verità abita il profondo. Allora, all’intimità nascosta del «ciò che è» in senso eminente si può solo accennare. Ci auguriamo che questo scritto abbia conseguito questo scopo.