di Aldo Garzia
L’Italia si incammina a passo spedito verso l’avventura di un governo a 5 Stelle? Il quesito è legittimo. A rendere possibile tale prospettiva ci pensa perfino la nuova legge elettorale che, se non verrà modificata, con il ballottaggio può dare la vittoria proprio a Beppe Grillo & company. I grillini hanno intanto il vento in poppa, nonostante l’impasse del sindaco Virginia Raggi a Roma e malgrado la confusione programmatica della loro recente kermesse nazionale a Palermo.
Non sono effimere le ragioni del successo grillino nelle recenti elezioni amministrative: affondano in una crisi del sistema politico che non trova assestamenti almeno dal 1992 in poi (Tangentopoli). E’ infatti cresciuta una incazzatura generalizzata contro i partiti e la politica che trova nei 5 Stelle una generica risposta, a volte seriamente motivata e a volte istintiva. Ciò avviene in un paese dove ormai più o meno il 40% degli elettori non vota, o vota bianca e nulla, e il restante 60 si orienta su motivazioni che ben poco hanno a che fare con ideologie e appartenenze. I grillini e il loro elettorato che oscilla intorno al 30% sono perciò il frutto dell’incapacità di rinnovare i partiti e riformare le istituzioni e i meccanismi della politica.
Lo scollamento tra politica e realtà era evidente da tempo, ma non se ne è voluto prendere atto nemmeno a sinistra. Anzi, proprio il malcostume è cresciuto a sinistra come mai nel passato. La questione morale e il ridimensionare tutti i privilegi di chi fa della politica un mestiere a tempo o di lunga durata non sono diventati una priorità, malgrado il pericoloso crescere del disprezzo come luogo comune per chi è eletto nelle istituzioni e sceglie la politica come impegno. Tutto questo possiamo pure chiamarlo “antipolitica” per salvarci la coscienza, ma è invece il prodotto di una politica morta nei valori e nelle forme in cui l’avevamo conosciuta nei decenni trascorsi.
C’è pure un paradosso con cui fare i conti. A ben guardare, dobbiamo anche ringraziare il fenomeno 5 Stelle, senza il quale sarebbe stata molto probabilmente la destra più populista e leghista a occupare lo spazio lasciato libero dai partiti tradizionali. Si può discettare all’infinito su quanto di destra ci sia nel grillismo, eppure si deve prendere atto della trasversalità sociale e ideale di quel consenso: moltissimi dei suoi elettori vengono dalla sinistra, come molti lettori hanno sostituito “l’Unità” e “il manifesto” con “il Fatto”. La maggioranza di quegli elettori pensa che il sostegno ai grillini sia uno stimolo a cambiare, sia un voto positivamente provocatorio. Il che alla lunga può diventare anche un antivirus, nel caso i 5 Stelle eccedano nella loro spregiudicatezza o impreparazione istituzionale. Il problema però è che non siamo più nella fase degli “stimoli”, bensì in quella che può trasformare il Movimento 5 Stelle nella forza che governerà nei prossimi anni l’Italia.
Paradosso italiano nel paradosso. I grillini occupano da noi lo spazio politico che altrove è nelle mani di una nuova sinistra emergente: Podemos in Spagna, Linke in Germania, Tsipras in Grecia. Qui è illusorio pensare che Sinistra italiana possa contare su consensi a due cifre elettorali nel breve periodo, o possa incamminarsi su un rapporto di alleanza preferenziale con i grillini che fanno della loro solitudine un indubbio punto di forza. Difficile perciò pensare che Sinistra italiana e 5 Stelle possano costituire l’embrione di una coalizione.
I prossimi mesi saranno dunque decisivi per capire le chance di vittoria dei grillini, che per ora restano altissime. A sinistra ci sono poche alternative: o il proseguimento del renzismo o lo splendido isolamento di Sinistra italiana. A meno che – Dio non voglia – riaffiori la tentazione di un governo di unità nazionale. In mezzo c’è pure il referendum costituzionale della discordia.