destra europeadi Rino Genovese

Se ci fosse bisogno di un’unità di misura per stabilire cos’è la destra davvero – non quella fascista ma quella placidamente violenta e liberale –, allora la vicenda che si sta dipanando sotto i nostri occhi in queste ore potrebbe servire da metro. Si vuole farla pagare a un intero paese, mettere alla fame i greci più di quanto già non siano, rischiare un clima di disordine finanziario che può giovare solo ai neonazisti, e punire così dei liberi cittadini che hanno osato esprimersi a larga maggioranza per il no ai diktat.

Tsipras ha fatto benissimo a interpretare il no al referendum come un mandato più forte per trattare, non come una volontà di rottura e di uscita dall’euro. Ha dimostrato abilità politica sia nel prendersi il rischio di un voto popolare sia, successivamente, nell’accettare le dimissioni di Varoufakis in modo da rendere la trattativa più credibile. Ha poi fatto un passo che solo degli sprovveduti potevano considerare come una cessione delle armi: ha sottoposto al parlamento un pacchetto di misure atto a stanare la destra europea (che oggi ha il suo leader nel ministro delle finanze tedesco) al fine di mostrare chiaramente da che parte sta l’arroganza e chi vuole la rottura.

Come scrivevo nel mio precedente intervento sull’argomento, sta nella possibilità di trovare una sponda nel socialismo europeo il destino della battaglia anti-austerità in Europa. Di ciò, con la sua strategia stop and go, Tsipras appare del tutto cosciente. È mettendo a tacere le voci più estreme all’interno (si pensi che in Syriza c’è anche una componente trotzkista), e ricercando l’intesa con uno come Hollande all’esterno, che la partita greca può essere vinta. Nella consapevolezza che, se dovessero passare i falchi, non soltanto la zona euro ma la stessa fragile costruzione europea sarebbe a rischio implosione.