La lista dei ministri è stata fatta con il bilancino. Tutte le correnti democristiane, pardon neocentriste, vi sono rappresentate – al punto da far passare in secondo piano la pur importante parità di genere, otto donne e otto uomini. Tra i sedici ministri renziani ci sono quelli che hanno “resistito” e sono stati premiati: gli alfaniani restano nelle loro preziose caselle. Poi ci sono i promossi, come Orlando e Franceschini, i quali, rispetto ai posti che occupavano in precedenza, possono dirsi soddisfatti. È questo anche il caso del bersaniano Martina che, da sottosegretario, passa a ministro dell’agricoltura (evviva!). All’ecologia troviamo perfino un casinista (intendo un fedelissimo di Casini). All’università e alla scuola una montiana. Allo sviluppo economico va una confindustrialotta gradita a Berlusconi. Chi fa la parte del leone, però, è proprio il nemicissimo D’Alema: ben due suoi uomini, sia pure più tecnici che politici, vanno in due dicasteri chiave: quello dell’economia (Padoan) e quello del lavoro (Poletti, che viene dal mondo della cooperazione ed è l’unico su cui non ci sentiremmo di eccepire nulla). C’è perfino un’apertura a sinistra per tentare di prendere all’amo i maldipancisti civatiani, nella persona di Maria Carmela Lanzetta, integerrimo sindaco anti-mafia, che in direzione aveva votato contro l’esperimento renziano. Insomma, che volete di più?
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